CARDIOVERSIONE
- CARDIOVERSIONE ELETTRICA _
- Che cos’è?
- A chi si fa?
- Come si esegue?
La cardioversione elettrica è una procedura con la quale viene erogata una scarica elettrica sul torace, che provoca una contrazione simultanea di tutte le fibre muscolari cardiache che riprendono a contrarsi in modo ritmico
A CHI SI FA?
Viene effettuata in caso di aritmie atriali o ventricolari.
In caso di fibrillazione atriale si ha una perdita dell’attività ritmica dell’atrio che, tende a "tremare" e non si contrae in modo efficace. In questa situazione manca la spinta del sangue da parte dell’atrio nei ventricoli.
Questa condizione clinica è compatibile con la vita, infatti ci sono molte persone che vivono senza problemi con la fibrillazione atriale. I cardiologi tendono ad intervenire per farla regredire in quanto tale aritmia può provocare un “ristagno” di sangue nell’atrio e nella sua appendice auricolare, con formazione di coaguli che possono distaccarsi e ostruire vasi periferici come quelli del cervello. Inoltre la mancanza del contributo dell’atrio alla funzione della pompa cardiaca può provocare, in soggetti con una malattia cardiaca preesistente, un peggioramento della stessa. In caso di fibrillazione atriale per ripristinare il normale ritmo del cuore si possono somministrare dei farmaci , ma se questi non sono efficaci, il cardiologo interviene con la “cardioversione”.
Nel caso di aritmie ventricolari (tachicardia o fibrillazione ventricolare) si avrà una perdita della funzione ventricolare di pompa con conseguente arresto cardiaco totale ed impossibilità da parte del cuore a pompare sangue in tutto il corpo. La fibrillazione ventricolare è una alterazione del ritmo che provoca, se non interrotta, la morte in breve tempo ed è quindi una condizione di estrema urgenza che richiede un intervento immediato.
COME SI ESEGUE?
La cardioversione elettrica viene effettuata, previo consenso informato del paziente, sotto monitoraggio elettrocardiografico e dei parametri circolatori (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, saturazione di ossigeno), con l’ausilio di un apparecchio chiamato defibrillatore. Il paziente viene collegato al defibrillatore mediante delle “piastre” collocate sul torace; dopo una blanda anestesia generale di breve durata, viene sottoposto ad una o più scariche elettriche a bassa energia, senza che avverta alcun dolore. Prima di praticare la cardioversione elettrica, in caso di fibrillazione atriale, è necessaria una preparazione del paziente.
Come già detto, nella fibrillazione atriale c'è un rallentamento del flusso di sangue negli atri con possibilità di formazione di coaguli; pertanto, nei giorni che precedono la cardioversione, viene effettuata una terapia anticoagulante ed in qualche caso eseguita una ecografia particolare chiamata “transesofagea”, per vedere meglio se nell’auricola si sono già formati coaguli.
Dopo la ripresa del normale ritmo cardiaco, bisogna proseguire la terapia anticoagulante per almeno un mese, perché il rischio che si formino coaguli nel cuore persiste per un certo tempo anche dopo la cardioversione.
In alcuni casi, per prevenire la recidiva della fibrillazione atriale, può rendersi necessaria una terapia profilattica con farmaci antiaritmici. Dopo la procedura può comparire lieve rossore cutaneo a livello del torace, o sensazione di stordimento, legata all’anestesia. Rare complicanze della procedura sono disturbi di circolo ed aritmie.
In caso di fibrillazione ventricolare la cardioversione è effettuata somministrando una scarica elettrica ad elevata energia, erogata tramite delle piastre che vengono posizionate sul torace del paziente. Questa tecnica è adottata in urgenza e quindi non richiede alcuna preparazione. Il paziente è privo di coscienza e quindi non necessita di sedazione con i farmaci. Si tratta di una procedura salvavita che fa parte di un protocollo d’intervento in caso di arresto cardiaco e si associa a somministrazione di farmaci. Tale procedura, per il carattere di urgenza che riveste, non richiede autorizzazione da parte del paziente o dei familiari.
- LA TERAPIA DEL SORRISO
Patch Therapy La Terapia del Sorriso si basa sugli effetti positivi psicologici e biologici del riso. Questo tipo di cura nasce in America.
I primi dottori-clown sono Michael Christensen e Paul Binder. Il primo era un vero e proprio pagliaccio presso un circo a New York. Nel 1986 i due fondano “The Clown Care Unit”, l’unità di clown terapia, che fa della risata una specie di medicina. Nei primi anni Novanta questo tipo di cura sbarca anche in Europa; gli ospedali francesi e svizzeri sono i primi ad accoglierla. Nella naturalizzazione essa prende il nome di “Le Rire Medicin”. La grande fortuna, però, arriva alla fine degli anni Novanta, quando dalla figura di un noto medico della West Virginia viene preso spunto per un celebre film. Lui è Hunter “Patch” Adams. Nel 1971 questo dottore alquanto originale fonda, con la collaborazione della compagna e di alcuni amici, l’Istituto Gesundheit. Per molti aspetti il suo è stato un vero e proprio colpo di genio, i risultati denotano un incremento delle guarigioni che ha dell’incredibile. - purificazione e liberazione delle vie respiratorie superiori; ridere può in effetti far Ridere infatti è un esercizio muscolare e respiratorio che permette un fenomeno di cessare una crisi di asma provocando un rilassamento muscolare delle fibre lisce dei bronchi, per azione del sistema parasimpatico. Per coloro che soffrono di enfisema, ridere, provocando l'aspirazione dell'aria, migliora l'insufficienza respiratoria.
- Ridere fa rilassare il nostro corpo. Da quando si inizia a ridere, il cuore e la respirazione accelerano i ritmi, la tensione arteriosa cala e i muscoli si rilassano. 11.
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Malattie Cardiache
-ARITMIE:
-Fibrillazione Atriale 3
LA FIBRILLAZIONE ATRIALE
INIZIAMO CON LE DOMANDE PIU' COMUNI CHE LA MAGGIOR PARTE DI VOI FA,PER AVVIARCI SUCCESSIVAMENTE AGLI APPROFONDIMENTI
D.: come possiamo definire la fibrillazione atriale?
R.: la fibrillazione atriale è un disturbo del ritmo cardiaco che si manifesta con una completa irregolarità del battito del cuore. Se normalmente la cadenza dei battiti è regolare, con la fibrillazione diventa caotica, ossia l’intervallo tra un battito e l’altro è continuamente diverso.
D.: Quale è il difetto che determina, a livello del cuore, la fibrillazione atriale?
R.: Nel cuore normalmente ogni battito inizia in un punto ben preciso dell’atrio destro in cui ha sede un gruppo di cellule specializzate capaci di mandare ciclicamente impulsi elettrici (60-80 al minuto in condizioni di riposo) che si propagano in tutto il muscolo cardiaco provocandone la contrazione. Nel cuore in fibrillazione atriale tanti piccoli gruppi di cellule dislocati nei due atri inviano impulsi in maniera disordinata e indipendente, ma dei tanti impulsi, solo alcuni riusciranno a propagarsi nelle restanti zone del cuore (ventricoli) provocando un numero di contrazioni al minuto irregolari e variabili. E’ come se al posto di un singolo interruttore di una lampadina ce ne fossero tanti che si accendono e spengono caoticamente così da far accendere la lampadina in maniera disordinata.
D.: Tutti possiamo ammalarci di fibrillazione atriale?
R.: Teoricamente si, infatti sia le persone con cuore sano che quelle con cuore malato possono andare incontro a questa aritmia. Più precisamente le probabilità di insorgenza aumentano progressivamente con l’età, sono quasi nulle nei bambini e nei giovani non cardiopatici, mentre nella popolazione adulta e anziana riscontriamo una incidenza che va dall’ 1 al 6% tra i 60 e gli 80 anni. Gli uomini ne sono più colpiti.
D.. A parte le persone sane, in quali malattie è più frequente la comparsa di fibrillazione atriale?
R.. Ovviamente nelle malattie cardiache quali i difetti delle valvole del cuore, in particolare la stenosi mitralica; nei soggetti con cardiopatia ischemica, ossia quelli affetti da stenosi delle coronarie che abbiano avuto o no l’infarto; nei soggetti con ipertensione arteriosa da lunga data specie se non perfettamente curata; in caso di pericardite, e ancora nelle persone sottoposte ad interventi di cardiochirurgia (sostituzioni valvolari, by-pass aorto coronarico).
Abbiamo poi delle malattie extracardiache che possono comportare fibrillazione atriale, tra queste l’ipertiroidismo, l’embolia polmonare, l’abuso di alcol, fumo, droghe.
D.: Come ci si accorge di avere la fibrillazione atriale?
R.: Alcune persone, una minoranza, non hanno sintomi, e l’aritmia può essere un riscontro casuale durante una visita di routine o in occasione di malattie emboliche come l’ ictus cerebrale o le ischemie acute degli arti inferiori. Nelle persone sintomatiche si possono avere palpitazioni, affanno, stanchezza per sforzi anche lievi, gonfiore delle gambe, raramente svenimenti.
D.: Quanto dura la fibrillazione atriale una volta insorta?
R.: Qui abbiamo una grande variabilità, infatti l’aritmia può durare pochi secondi, minuti, ore, giorni, mesi, anni fino a diventare permanente o cronica e che durerà quindi tutto il resto della vita della persona. A seconda della durata si parla di fibrillazione isolata (1 singolo breve episodio), di fibrillazione parossistica (che dura al massimo 7 giorni e passa da sola), di fibrillazione persistente (durata di oltre 1 settimana che passa grazie ai farmaci o alla cardioversione elettrica) e di fibrillazione cronica non più passibile di cura.
D.: Come si cura la fibrillazione atriale?
R.: Per far tornare il cuore al suo ritmo normale, detto sinusale, abbiamo a disposizione i farmaci antiaritmici, la cardioversione elettrica e l’ablazione. I farmaci hanno una buona probabilità di efficacia nei casi in cui l’aritmia è insorta da pochi giorni fino a 3-6 mesi. La cardioversione elettrica è altamente efficace anche nei casi di più lunga durata, diciamo da 6-18 mesi, si effettua in anestesia generale di pochi minuti, richiede un breve ricovero di 24-36 ore. L’ablazione consiste nella eliminazione delle vie elettriche anomale tramite applicazione di calore con cateteri che raggiungono l’interno del cuore attraverso una vena della gamba, si effettua in sale operatorie appositamente attrezzate in centri specialistici, non richiede quasi mai l’ anestesia generale, necessita di ricovero di 2-3 giorni; le possibilità di guarigione nel lungo periodo sono variabili da un 40 all’80% dei casi.
D.: Quali pericoli comporta la fibrillazione atriale?
R.. I pericoli del convivere con l’aritmia sono prevalentemente legati alla formazione di trombi all’interno del cuore da cui possono staccarsi dei frammenti e determinare il così detto fenomeno dell’embolia. Gli emboli possono andare ad occludere piccole e medie arterie del cervello, delle gambe, degli organi interni, determinando i quadri clinici dell’ictus cerebrale o delle ischemie degli arti. Anche il cuore ovviamente soffre della presenza della fibrillazione potendosi quindi deteriorare la sua funzione peculiare di pompa del sangue e comportare nel tempo il quadro dello scompenso cardiaco con affanno e gonfiore delle gambe. Ciò non toglie che molte persone riescano a vivere normalmente anche per anni e anni con la fibrillazione.
D.: E’ possibile limitare o annullare il pericolo dell’embolia?
R.: Oggi si va diffondendo sempre di più l’uso dei farmaci anticoagulanti, capaci quindi di fluidificare il sangue e sciogliere i trombi che si possono formare nelle cavità cardiache. Sono altamente efficaci ma richiedono una grande attenzione nel seguire i giusti piani di terapia. Occorre infatti una precisa assunzione delle dosi prescritte e un periodico controllo del grado di fluidità del sangue che possiamo misurare con un prelievo ematico quindicinale (dosaggio dell’INR). In alternativa si può utilizzare l’aspirina o farmaci simili che hanno però una minore efficacia preventiva sulla formazione dei trombi.
D.: Cosa deve fare la persona che soffre di fibrillazione atriale?
R.. Certamente deve farsi seguire dal medico di medicina generale e dallo specialista cardiologo per concordare la terapia più giusta che varierà in relazione alla durata dell’aritmia, alle possibili cause, alle malattie concomitanti cardiache e non cardiache, alla presenza di fattori in grado di aumentare il rischio tromboembolico. La strategia della terapia andrà ritagliata come un vestito sul singolo soggetto che ne è affetto secondo delle linee guida approvate e riconosciute dalle società cardiologiche italiane e internazionali.
D.: Quali esami diagnostici occorre effettuare?
R.: A giudizio dello specialista la persona che soffre di fibrillazione atriale dovrà sottoporsi a visite periodiche cardiologiche con elettrocardiogramma. Altri esami utili sono la registrazione dell’elettrocardiogramma di lunga durata con l’Holter delle 24 ore e l’ecocardiogramma con la valutazione della capacità contrattile del cuore e di eventuali vizi valvolari. In casi selezionati sarà utile effettuare la TAC o la Risonanza Magnetica cerebrale per svelare eventuali zone ischemiche nonché studiare la circolazione delle arterie carotidi e delle gambe.
D.: quanto possiamo tranquillizzare chi ne soffre?
R.: Da una parte il medico deve informare e sensibilizzare la persona che ne è affetta sul significato dell’aritmia, sui rischi che si corrono, sui motivi dei controlli periodici e dei farmaci da assumere, dall’altro si può essere tranquillizzanti considerando le capacità diagnostiche e terapeutiche di cui oggi disponiamo.
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LA FIBRILLAZIONE ATRIALE:APROFONDIMENTI
La fibrillazione atriale è un’aritmia cardiaca, un tipo di tachicardia caratterizzato da un numero di battiti, teorico, compreso tra i 300 e 600 al minuto.
In condizioni normali, a riposo, il ritmo cardiaco, definito “sinusale” è solitamente di 60-80 pulsazioni al minuto. In caso di FA, la frequenza degli impulsi atriali (sede di origine del segnapassi cardiaco) può variare tra 300 e 600 battiti al minuto (bpm).
I tanti impulsi provenienti dagli atrii tentano di seguire il “circuito” elettrico che li porta ai ventricoli (responsabili dell’espulsione del sangue che passerà in circolo). Fortunatamente, il nodo atrioventricolare (struttura che segna il confine tra le due camere) limita il numero di segnali che raggiungono effettivamente le camere ventricolari, così che il cuore si contrae solitamente ad una frequenza compresa mediamente fra i 100 e 200 bpm.
La FA accelerando la funzionalità cardiaca, riduce l’efficienza della pompa cardiaca. Come in altre forme di aritmia, la FA può di conseguenza impedire al cuore di inviare la quantità di sangue e di ossigeno sufficiente a soddisfare i bisogni dell’organismo. La FA è una patologia relativamente diffusa (in Italia ne soffrono circa mezzo milione di persone) che colpisce in prevalenza la popolazione anziana, gli ultrasettantenni. A differenza della fibrillazione ventricolare, la fibrillazione atriale non è considerata letale. Tuttavia, se la FA si protrae per un certo periodo di tempo, può provocare un ictus o danni al muscolo cardiaco. Le probabilità di insorgenza di ictus nelle persone con FA è circa cinque volte superiore rispetto alla popolazione normale.
Sintomi
Solitamente chi è colpito da fibrillazione atriale riferisce l’improvvisa insorgenza di battiti irregolari, accelerati, palpitazioni, cardiopalmo aritmico, talvolta alternati a battiti più rallentati.
Il cuore diviene così incapace di adattarsi, come di solito accade, alle diverse e fisiologiche situazioni quotidiane in cui si trova. Il normale rallentamento del battito del cuore durante il sonno, le sue accelerazioni durante gli sforzi fisici, le emozioni, possono venire meno e questo si traduce in sensazione di debolezza, di mancanza di respiro, di cuore in gola, di vertigine.
Alcuni pazienti, al contrario, non avvertono disturbi, soprattutto i più giovani: questi possono continuare a condurre una vita normale, senza disturbi; addirittura può capitare che anche per parecchi mesi non si accorgano di nulla. Questi pazienti sono svantaggiati perché giungono dal medico in ritardo, riducendo le possibilità di far ripristinare il normale ritmo del cuore, che per non creare conseguenze deve avvenire entro 48-72 ore (è questo il tempo medio utile, entro il quale l’aritmia deve essere corretta, prima che il rischio di formare trombi e quindi emboli, cominci a diventare elevato).
Cause
L’eziologia è solitamente da ricondurre all'invecchiamento del cuore e al progressivo ingrandimento dell'atrio sinistro, dal momento che la regione interessata dal disturbo contiene anche il "centro del ritmo", il segnapassi, che genera il battito cardiaco.
La fibrillazione atriale è pertanto comune nei soggetti anziani, perché le modificazioni del cuore che avvengono con l’invecchiamento ne facilitano l’insorgenza. Difatti le cause più frequenti di fibrillazione atriale sono le malattie delle valvole cardiache (degenerative e non), lo scompenso cardiaco, la cardiopatia ischemica, l’ipertensione arteriosa, le malattie polmonari, le malattie della tiroide, ecc.
Quando non si riesce a trovare la vera causa della fibrillazione atriale: in questo caso l’aritmia viene chiamata "idiopatica". In questi soggetti si possono riscontrare talvolta fattori che possono facilitare lo scatenamento della fibrillazione atriale (alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico, l’assunzione eccessiva di alcolicio di caffeina, lo stress, infezioni gravi o taluni farmaci, diarrea protratta).
Diagnosi
Per la diagnosi della FA, il medico utilizza normalmente l’esame dell’elettrocardiogramma (ECG). Tuttavia, se la fibrillazione è intermittente, un normale esame ECG può non evidenziare il problema. Il medico può consigliare altri tipi di esami (Holter ECG), nel tentativo di registrare un episodio di FA.
Sarà il medico ad indicare al paziente il tipo di esame più adatto alle sue condizioni.
Se il cuore in fibrillazione atriale diventa meno efficiente, dovendo fare a meno del contributo emodinamico dell’atrio, ne consegue una riduzione della funzione di pompa, stimabile fra il 10 ed il 30%, a seconda dell’età e delle caratteristiche del cuore: se l’aritmia persiste a lungo (mesi o anni), il cuore subisce delle alterazioni, non solo nel funzionamento, ma anche nell’anatomia.
Si crea così un circolo vizioso che può portare allo scompenso cardiaco o addirittura all’edema polmonare acuto se alla fibrillazione atriale si aggiungono altre situazioni patologiche, come l’ipertensione, l’arteriosclerosi, la cardiopatia ischemica, le malattie valvolari.
Complicanza gravissima della fibrillazione atriale come accennato è la formazione di trombi, ossia coaguli di sangue, all’interno degli atrii: questi trombi possono infatti staccarsi dal cuore e, trasportati dalla corrente sanguigna, raggiungere arterie periferiche e chiuderle (embolia), in particolare l’ictus cerebrale il cui rischio è molto più alto in pazienti con fibrillazione atriale rispetto ai soggetti in ritmo sinusale normale. Per ridurre questo rischio i pazienti devono assumere una terapia anticoagulante, che, rendendo il sangue più fluido, previene la formazione dei trombi, terapia da eseguire sotto stretta sorveglianza medica.
Per tutti questi motivi è sempre opportuno cercare di interrompere l’aritmia quanto prima (48-72 ore) in modo da ripristinare il ritmo regolare (sinusale) evitando così ricorso agli anticoagulanti orali.
Un ruolo molto importante riveste,per una corretta diagnosi l'ECG
transtelefonico che in alcune situazioni permette di individuare
aspetti altrimenti non percettibili.
Terapia
Il trattamento della FA dipende in gran parte dai sintomi del paziente. In generale, il medico focalizza l’attenzione su trattamenti che supportino il controllo della frequenza cardiaca e riducano il rischio di emboli sanguigni. Antiaggreganti quali aspirina o meglio anticoagulanti come il warfarin vengono comunemente prescritti. Sono disponibili inoltre diverse terapie antiaritmiche che supportano il controllo degli episodi di tachiaritmia.
La scelta del farmaco più adatto varia da individuo a individuo. Dato che la maggior parte delle terapie è efficace solo per un certo periodo di tempo, può essere necessario provare altri farmaci se nel paziente persistono i sintomi o insorgono effetti collaterali indesiderati.
Per un certo numero di pazienti affetti da FA le terapie non sono in grado di controllare efficacemente l’aritmia oppure possono causare gravi effetti collaterali. Per questi soggetti potrebbe essere presa in considerazione una procedura chiamata “ablazione” (eliminazione di una minuta fetta di tessuto cardiaco, ritenuta responsabile dell’innesco dell’aritmia). Per alcuni pazienti può risultare necessario l’impianto di un pacemaker (in particolare nei casi FA lenta, nei quali l’eccessivo rallentamento della frequenza cardiaca può condizionare complicanze altrettanto gravi ed intuibili) insieme ad una procedura di ablazione.
Come si fa a riportare il cuore in Ritmo Sinusale?
In alcuni casi la fibrillazione atriale può regredire da sola, entro poche ore dall’inizio; nella maggioranza dei pazienti l’aritmia dura nel tempo e tende a cronicizzarsi. Se la fibrillazione atriale viene riconosciuta dal paziente, è opportuno che questi si rechi dal medico entro poche ore dall’insorgenza dei sintomi: in questo caso, infatti, è ancora possibile riportare il cuore in ritmo senza che sia necessario iniziare una terapia anticoagulante. Se la fibrillazione atriale dura invece da più tempo, il paziente potrà essere riportato in ritmo sinusale solo dopo una adeguata terapia anticoagulante (almeno 6 mesi di trattamento).
La cardioversione esterna ed interna, i regimi di trattamento farmacologico e una varietà di procedure di ablazione con catetere vengono attualmente utilizzati per controllare la fibrillazione atriale. La soluzione migliore viene stabilita dal paziente e dal medico.
Esistono attualmente tre diverse terapie per riportare il cuore in ritmo:
- Cardioversione Farmacologica
Consiste nella somministrazione per via endovenosa od orale di farmaci antiaritmici. Può essere utilizzata solo nelle prime ore dall’inizio della fibrillazione atriale, ma non è efficace in tutti i casi. I farmaci più utilizzati sono l’amiodarone, il sotalolo, il propafenone e la flecainide. In alcuni pazienti non sono utilizzabili per controindicazioni al loro utilizzo.
- Cardioversione Elettrica Esterna
Consiste nell’erogare una scossa elettrica attraverso un’apposita apparecchiatura appoggiata sul torace; poiché la procedura è dolorosa, richiede una breve anestesia generale. È generalmente più efficace della cardioversione farmacologica.
- Cardioversione Elettrica Interna (o Endocavitaria)
Si effettua per mezzo di appositi cateteri, introdotti attraverso una vena, in anestesia locale, sotto controllo radiografico; per mezzo di questi cateteri viene erogata una scossa elettrica di lieve entità. Il paziente non viene perciò addormentato, ma solo leggermente sedato in quanto avverte, al momento della scossa, solo una sensazione di colpo nel petto. Quest’ultimo metodo è il più efficace (la percentuale di successo di tale procedura si aggira intorno al 95-98%) e consente di ottenere il ripristino del ritmo normale anche in caso di fibrillazione che duri da parecchi anni.
Cosa fare dopo il ripristino del normale Ritmo Sinusale?
Il paziente dovrà assumere con regolarità la terapia che gli è stata prescritta ed eseguire periodici controlli dal Cardiologo di riferimento, perché spesso l’aritmia può recidivare e ripresentarsi anche a breve distanza di tempo: in questo caso è essenziale che il paziente si ripresenti al più presto possibile dal Medico. In questa fase il paziente occupa un ruolo chiave nella gestione della sua malattia e non dovrà scoraggiarsi di fronte alla recidiva, in quanto il periodo di tempo libero dalla fibrillazione atriale diviene di volta in volta sempre più lungo.
Conclusioni
Cosa fare se la Fibrillazione Atriale persiste nonostante il trattamento?
Va rammentato che sovente, specie nei pazienti anziani, con un cuore più compromesso, il ripristino del ritmo Sinusale non è ottenibile, talvolta neanche indicato, in tali casi la FA diviene cronica, permanente. In tali casi andrà attuato un trattamento medico che contempli l’utilizzo di anticoagulanti, se possibile vita natural durante o in alternativa antiaggreganti. Sarà pertanto inutile l’utilizzo di antiaritmici, indicato invece l’uso di farmaci per il controllo della frequenza cardiaca, quali beta bloccanti e calcio antagonisti.
Consiste nella somministrazione per via endovenosa od orale di farmaci antiaritmici. Può essere utilizzata solo nelle prime ore dall’inizio della fibrillazione atriale, ma non è efficace in tutti i casi. I farmaci più utilizzati sono l’amiodarone, il sotalolo, il propafenone e la flecainide. In alcuni pazienti non sono utilizzabili per controindicazioni al loro utilizzo.
Consiste nell’erogare una scossa elettrica attraverso un’apposita apparecchiatura appoggiata sul torace; poiché la procedura è dolorosa, richiede una breve anestesia generale. È generalmente più efficace della cardioversione farmacologica.
Si effettua per mezzo di appositi cateteri, introdotti attraverso una vena, in anestesia locale, sotto controllo radiografico; per mezzo di questi cateteri viene erogata una scossa elettrica di lieve entità. Il paziente non viene perciò addormentato, ma solo leggermente sedato in quanto avverte, al momento della scossa, solo una sensazione di colpo nel petto. Quest’ultimo metodo è il più efficace (la percentuale di successo di tale procedura si aggira intorno al 95-98%) e consente di ottenere il ripristino del ritmo normale anche in caso di fibrillazione che duri da parecchi anni.
DONAZIONI SAMARITANE
ANNUNCIO DEL MINISTRO FAZIO Trapianti, sì a donazioni "samaritane" Il ministro della Salute Ferrucio Fazio Si potranno regalare organi.
Donare un rene per un puro gesto di generosità a chi non si conosce: da oggi sarà possibile a patto che vengano rispettate alcune cautele, tra cui l’anonimato del donatore e del ricevente. Anche il Consiglio superiore di sanità (Css) ha espresso infatti il suo sì ai donatori samaritani (che non hanno cioè alcun legame familiare con il ricevente) in un parere che arriva dopo quello, sempre positivo, del Comitato nazionale di bioetica (Cnb). A darne notizia è stato lo stesso ministro della Salute, Ferruccio Fazio, che ne ha spiegato le modalità oggi in occasione della presentazione della Giornate nazionali per la donazione e trapianto di organi. Una possibilità di cui, forse, potranno ora beneficiare le tre persone (una a Torino e due in Lombardia) che avevano espresso nei mesi scorsi la volontà di donare un rene. Una novità assoluta per il nostro paese mentre negli Usa e in alcuni paesi del Nord Europa questa pratica è già autorizzata da molti anni.
All’arrivo delle prime tre offerte di donazione il Centro Nazionale Trapianti aveva subito riunito i rappresentanti delle tre reti interegionali dei trapianti per verificarne la possibilità legale, e su cui si sono espressi vari organi. Negativi erano stati infatti i pareri del presidente onorario del Cnb, Francesco D’Agostino, e del Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica, secondo cui non ci si può aprire all’idea «di creare mutilazioni e situazioni patologiche per rispondere alle esigenze di salute dei pazienti, creando un circolo vizioso e improprio». Positivo invece è stato il parere del Cnb, che ha detto sì alla donazione samaritana, a patto che venga rispettato l’anonimato e istituito un registro dei potenziali ed effettivi donatori. La «donazione samaritana - scrive il Comitato - è legittima dato che si tratta di un atto supererogatorio, eticamente apprezzabile per il movente solidaristico che lo ispira, e che non implica rischi maggiori, dal punto di vista medico, per il donatore vivente di quelli che sono presenti nell’ambito di qualsiasi genere di espianto d’organo ex vivo». Dopo il Cnb, oggi è arrivato anche il parere positivo del Consiglio superiore di sanità con alcune raccomandazioni, come quella della «valutazione psicologica e psichiatrica del donatore, il rispetto della privacy e l’assenza di contatti tra donatore e ricevente».
A spiegarne i meccanismi è stato lo stesso Fazio: «Il possibile ricevente si procura un donatore. Se questi non è compatibile, può ricevere, sempre nel totale animato, l’organo da un donatore samaritano e l’organo che viene donato può andare a un altro ricevente». Il parere del Css precisa inoltre che «per i primi 10 casi la donazione samaritana deve rientrare in un programma nazionale», la cui gestione è affidata al Centro Nazionale Trapianti, che gli riferirà annualmente. Secondo le linee guida il donatore «samaritano» va inserito prioritariamente nel programma di trapianti con modalità cross-over e, qualora non fosse possibile, occorre tenere conto della provenienza regionale del donatore. L’accertamento dell’idoneità del donatore dovrà essere accertata non solo a livello psichiatrico e psicologico, ma anche da una «parte terza» estranea all’organizzazione medica che effettuerà l’espianto-trapianto come già avviene per i «trapianti da donatori viventi». Infine, secondo le direttive, andrà fatta una completa e accurata valutazione clinica strumentale delle condizioni fisiche del donatore samaritano da parte del Centro trapianti che organizza il prelievo, analogamente a quanto previsto nel caso della donazione cross over.
ANNUNCIO DEL MINISTRO FAZIO Trapianti, sì a donazioni "samaritane" Il ministro della Salute Ferrucio Fazio Si potranno regalare organi.
Donare un rene per un puro gesto di generosità a chi non si conosce: da oggi sarà possibile a patto che vengano rispettate alcune cautele, tra cui l’anonimato del donatore e del ricevente. Anche il Consiglio superiore di sanità (Css) ha espresso infatti il suo sì ai donatori samaritani (che non hanno cioè alcun legame familiare con il ricevente) in un parere che arriva dopo quello, sempre positivo, del Comitato nazionale di bioetica (Cnb). A darne notizia è stato lo stesso ministro della Salute, Ferruccio Fazio, che ne ha spiegato le modalità oggi in occasione della presentazione della Giornate nazionali per la donazione e trapianto di organi. Una possibilità di cui, forse, potranno ora beneficiare le tre persone (una a Torino e due in Lombardia) che avevano espresso nei mesi scorsi la volontà di donare un rene. Una novità assoluta per il nostro paese mentre negli Usa e in alcuni paesi del Nord Europa questa pratica è già autorizzata da molti anni.
All’arrivo delle prime tre offerte di donazione il Centro Nazionale Trapianti aveva subito riunito i rappresentanti delle tre reti interegionali dei trapianti per verificarne la possibilità legale, e su cui si sono espressi vari organi. Negativi erano stati infatti i pareri del presidente onorario del Cnb, Francesco D’Agostino, e del Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica, secondo cui non ci si può aprire all’idea «di creare mutilazioni e situazioni patologiche per rispondere alle esigenze di salute dei pazienti, creando un circolo vizioso e improprio». Positivo invece è stato il parere del Cnb, che ha detto sì alla donazione samaritana, a patto che venga rispettato l’anonimato e istituito un registro dei potenziali ed effettivi donatori. La «donazione samaritana - scrive il Comitato - è legittima dato che si tratta di un atto supererogatorio, eticamente apprezzabile per il movente solidaristico che lo ispira, e che non implica rischi maggiori, dal punto di vista medico, per il donatore vivente di quelli che sono presenti nell’ambito di qualsiasi genere di espianto d’organo ex vivo». Dopo il Cnb, oggi è arrivato anche il parere positivo del Consiglio superiore di sanità con alcune raccomandazioni, come quella della «valutazione psicologica e psichiatrica del donatore, il rispetto della privacy e l’assenza di contatti tra donatore e ricevente».
A spiegarne i meccanismi è stato lo stesso Fazio: «Il possibile ricevente si procura un donatore. Se questi non è compatibile, può ricevere, sempre nel totale animato, l’organo da un donatore samaritano e l’organo che viene donato può andare a un altro ricevente». Il parere del Css precisa inoltre che «per i primi 10 casi la donazione samaritana deve rientrare in un programma nazionale», la cui gestione è affidata al Centro Nazionale Trapianti, che gli riferirà annualmente. Secondo le linee guida il donatore «samaritano» va inserito prioritariamente nel programma di trapianti con modalità cross-over e, qualora non fosse possibile, occorre tenere conto della provenienza regionale del donatore. L’accertamento dell’idoneità del donatore dovrà essere accertata non solo a livello psichiatrico e psicologico, ma anche da una «parte terza» estranea all’organizzazione medica che effettuerà l’espianto-trapianto come già avviene per i «trapianti da donatori viventi». Infine, secondo le direttive, andrà fatta una completa e accurata valutazione clinica strumentale delle condizioni fisiche del donatore samaritano da parte del Centro trapianti che organizza il prelievo, analogamente a quanto previsto nel caso della donazione cross over.
Sindrome di Brugada
Lunedi 7 Maggio 2012 alle h 8.15,il Prof Mario Trivellato parlera' della sindrome di Brugada,nelle frequenze di radio gamma 5.
Si tratta di una malattia aritmogena genetica a carattereautosomico dominante.
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IL METODO ZAMBONI nella Sclerosi Multipla-SM-
CCSVI ACRONIMO dI Insufficienza Venosa Cerebro spinale.
Si tratta di una insufficienza venosa che coinvolge la vena azygos e le
vene giugulari,determinando stasi venosa nel distretto cerebrale che a
lungo andare puo' essere la causa di alcune forme di sclerosi multipla.
Il metodo Zamboni che prevede la dilatazione dei vasi venosi stenotici,
cioe' ristretti, puo' determinare la riduzione dei sintomi della malattia e
una sua parziale guarigione..
Parleremo di tutto questo Lunedi mattina, 9 giugno 2012 alle h 8.00,su radio
gamma 5,con un ospite,il piu' grande radiologo interventista italiano,il
Dott Tommaso Lupattelli,milanese,con una casistica enorme,per il momento
in forza a Roma e che negli ultimi anni gira l'Italia per insegnare la metodica
ad altri colleghi.
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Lunedi 17 Dicembre alle h 8.30 il Prof Gaetano Thiene sara' nostro ospite.
Nel corso della trasmissione ci parlera' della scoperta che il suo team di
ricercatori ha fatto a proprosito della Morte Improvvisa in giovani sportivi,
a causa di cardiomiopatie aritmogena.
Il gruppo del prof Thiene ha individuato un nuovo gene che caratterizza la
malattia. Il gene scoperto a Padova,una volta superate tutte le difficolta'
tecniche,potra' consentire di aumentare la possibilita' di fare una diagnosi precoce,prima che l'aritmia si presenti in modo grave,se non letale.
Un triste particolare:molti ricercatori artefici di questa importante scoperta
vivono nel triste mondo del lavoro precario.
Si tratta pertanto di giovani che nel prossimo futuro potranno lasciare
la nostra universita' e trasferire le loro potenzialita' tecniche in altri paesi,
ben lieti di accoglierli e appropriarsi del loro sapere.
E' assurdo
M ADRIANO CESTRANO IL DIRETTORE GENERALE DELLA SANITA' PADOVANA
DOMATTINA ALLE ORE 9.30 SARA' OSPITE DELLA TRASMISSIONE MEDICINA DENTRO CASA
IL DOTT ADRIANO CESTRONE DIRETTORE USCENTE DELLA SANITA' PADOVANA
CON IL QUALE PARLEREMO DELLO STATO DI SALUTE DELLA SANITA' PADOVANA E VENETA.
CERCHEREMO DI CAPIRE SE PRIMA O POI LE LISTE D'ATTESA POTRANNO ESSERE AZZERATE,
RICORRENDO ALL'APERTURA SERALE DEGLI OSPEDALI E DEGLI AMBULATORI,SEMPRE CHE LA COLLETTIVITA' PRIMA E LA CLASSE MEDICA E PARAMEDICA DOPO NE SARANNO FAVOREVOLI.
CON LA VOSTRA COLLABORAZIONE POTREMO SAPERE QUALCOSA SULLA FUTURA COSTRUZIONE DEL NUOVO OSPEDALE DI PADOVA E SULLA RIORGANIZZAZIONE DELLA
NUOVA SANITA' NELLA CITTA' DEL SANTO.
LA PROF ALESSANDRA GRAZIOTTIN,GINECOLOGA, A RADIO GAMMA 5
SABATO 12 GENNAIO 2013 ALLE ORE 9.10 SARA' OSPITE DELLA TRASMISSIONE MEDICINA DENTRO CASA LA PROF.SSA
ALESSANDRA GRAZIOTTIN GINECOLOGA PRESSO MILANO.
L'ARGOMENTO DELLA MATTINATA SARA' : LA MENOPAUSA E LA MENOPAUSA PRECOCE.
QUALE RISVOLTI PSICOLOGICI E QUALE TERAPIA. IN PARTICOLARE QUALI LE CAUSE PIU' FREQUENTI DELLA MENOPAUSA PRECOCE E QUALE IL TRATTAMENTO.
CAUSE NATURALI,ORMONALI E IATROGENE OVVERO MENOPAUSA INDOTTA DALL'ASSUNZIONE SCORRETTA O IN ECCESSO DI ORMONI.
SI PUO' INTERVENIRE COME CONSUETUDINE ATTRAVERSO GLI SMS.
A DOMANI
DOTT PIERGIUSEPPE PERAZZINI-VERONA
-SABATO MATTINA 19 GENNAIO 2013 ALLE ORE 9.15 SARA' OSPITE IL DOTT.PIERGIUSEPPE PERAZZINI CHIRURGO ORTOPEDICO DIRETTORE DEL CENTRO DI ORTOPEDIA DELLA CLINICA SAN FRANCESCO.
LA STRUTTURA E' CONVENZIONATA CON LA REGIONE VENETO,IL DOTT PERAZZINI PRESENTERA' UN INNOVATIVO INTERVENTO DI PROTESI D'ANCA CON L'UTILIZZO DEL ROBOT CHIRURGICO.
QUESTO TIPO D'INTERVENTO E' STATO ESEGUITO PER LA PRIMA VOLTA IN EUROPA E IN ITALIA.
LA CHIRURGIA ORTOPEDICA ROBOTICA CONSENTE DI ESEGUIRE INTERVENTI DI ATROPROTESI D'ANCA ESTREMAMENTE PRECISI,I CUI TEMPI DI RECUPERO SONO RIDOTTI E LA SINTOMATOLOGIA MENO RILEVANTE.FONDAMENTALE AI FINI DEL PROGRAMMA OPERATORIO E' LA TAC CHE DEVE ESSERE ESEGUITA CON STRUMENTAZIONE APPROPRIATAMENTE PROGRAMMATA PER LA SUCCESSIVA COLLOCAZIONE DI REPERI CHIRURGICI.
I REPERI CHIRURGICI CONSENTIRANNO DI SEGUIRE PASSO PASSO LA PREPARAZIONE DELLA CAVITA' RICEVENTE NEL FEMORE DEL PAZIENTE E LA SUCCESSIVA COLLOCAZIONE DELLA PROTESI,RIDUCENDO AL MINIMO GLI ERRORI.
IN PARTICOLARE E' DA SOTTOLINEARE CHE IN QUESTO CASO LA PROTESI NON VIENE CEMENTATA ALL'INTERNO DELL'OSSO MA INSERITA PER COMPRESSIONE.
PER SAPERNE DI PIU' ASPETTO I VOSTRI SMS DURANTE L'INETRVISTA
INFEZIONI OSPEDALIERE
LUNEDI 25 MARZO 2013 ALLE h 08.15, NEL CORSO DELLA RUBRICA RADIOFONICA MEDICINA DENTRO CASA,IL DOTT CLAUDIO DARIO DIRETTORE GENERALE DELL'AZIENDA OSPEDALIERA DI PADOVA PARLERA' DELLE INFEZIONI OSPEDALIERE. 1° INETRVISTA RADIOFONICA IN ASSOLUTO DEL DIRIGENTE.
SI TRATTA DI UN ARGOMENTO ESTREMAMENTE IMPORTANTE,LA CUI APPLICAZIONE DELLE LINEE GUIDA,ANCHE LE PIU' ELEMENTARI COME QUELLO DEL CORRETTO LAVAGGIO DELLE MANI DEGLI OPERATORI,DEI PAZIENTI E DEI VISITATORI, PUO' RIDURRE AL MINIMO IL CONTAGGIO.
CONTAGGIO DA BATTERI ELEMENTARI,CHE IN PAZIENTI PARTICOLARMENTI VULNERABILI,RICOVERATI IN REPARTI AD ALTO RISCHIO ,REPARTI CHIRURGICI,ONCOLOGICI E NEONATALI PER PREMATURI,DIVENTANO PERICOLOSI MENNTENDO A RISCHIO ANCHE LA VITA DEI PAZIENTI RICOVERATI.
AZIENDA OSPEDALIERA DI PADOVA ,I NUMERI: 100.000 ACCESSI PRONTO SOCCORSO X ANNO,
370.000 VISITE X ANNO,63.000 RICOVERI X ANNO,6.300.000 PRESTAZIONI AMBULATORIALI ANNO,40.000 INETRVENTI X ANNO.
INFEZIONI OSPEDALIERE: UNIONE EUROPEA=4,1 MILIONI,PARI AL 7,1%. ITALIA:450.000-700.000 CASI 5-8%. CENTRI DI 3° LIVELLO EUROPEI FINO A 9.9% DEI RICOVERI. AZIENDA OSPEDALIERA
DI PADOVA 8.9% .
MEDICINA DIFENSIVA
SABATO 13 DICEMBRE 2014
COSA SI VUOL DIRE CON QUESTA ESPRESSIONE? SI TRATTA DEL COMPORTAMENTO ADOTTATO DA MOLTISSIMI,
SE NON DA TUTTI,I MEDICI NELLO SVOLGIMENTO DELLA PROPRIA PROFESSIONE.
E' UN COMPORTAMENTO ADOTTATO PER EVITARE,IN SEGUITO A DENUNCE,L'ACCUSA DI MALPRACTICE, TERMINE
INGLESE CHE STA PER : MALASANITA', IMPERIZIA E/O NEGLIGENZA ECC.
INFATTI NEGLI ULTIMI ANNI SONO AUMENTATE LE DENUNCE E QUINDI I PREMI ASSICURATIVI CHE I MEDICI DEVONO
PAGARE PER PROTEGGERE IL PROPRIO STIPENDIO E I BENI DELLA PROPRIA FAMIGLIA.
QUINDI IL CONTENZISO MEDICO PAZIENTE HA ENORMEMENTE AUMENTATO I COSTI ASSICURATIVI E SOPRATTUTTO
I COSTI LEGATI AD ESAMI CLINICI E STRUMENTALI CHE SPESSO FANNO IL MAL ,DEL PAZIENTE
E DELLA COLLETTIVITA'.
CHI SONO I PERSONAGGI COINVOLTI IN UN CONTENZIOSO DELLA SALUTE ?
IL MEDICO,IL PAZIENTE,IL GIUDICE E IL CONSULENTE DEL GIUDICE.
IL CONSULENTE E' NECESSARIO POICHE' NON SEMPRE I GIUDICI SONO ESPERTI IN MATERIA SANITARIA,QUINDI
HANNO BISOGNO DI QUALCUNO CHE LI AFFIANCHI NELLA RICERCA DEI DATI.
OLTRE AD UN ERRATO COMPORTAMENTO DEL MEDICO,PERALTRO RARO,SPESSO IL CONSULENTE VA ALLA RICERCA
DELLA CARENZA DI DATI UTILI ALLA CORRETTA DIAGNOSI.
ESEMPIO: SE PER DEFINIRE UN TUMORE EPATICO OLTRE AI DATI CLINICI ED EMATOCHIMICI, SONO NECESSARI
L'ECOGRAFIA , LA TAC ADDOMINALE E RARAMENTE LA RISONANAZA MAGNETICA MA CHE
LA MAGGIOR PARTE DEI MEDICI SI ASTIENE DAL FARE ESEGUIRE PERCHE' RITENUTO
NON SEMPRE NECESSARIO.
ECCO ,NEL CASO DI UN CONTENZIOSO MEDICO - PAZIENTE,IL GIUDICE CHIEDERA' AL MEDICO : PERCHE' AL
PAZIENTE NON HA FATTO ESEGUIRE LA RM ? A MIO AVVISO, DIRA' IL GIUDICE,SU SUGGERIMENTO DEL
CONSULENTE,TALE ESAME AVREBBE FAVORITO UNA CORRETTA DIAGNOSI E QUINDI AVREBBE ALLEVIATO
LE SOFFERENZE DEL PAZIENTE. MA IN REALTA' NON SEMPRE E' COSI.
QUINDI MOLTI MEDICI,ANCHE SE NON LA RITENGONO NECESSARIA E UTILE AI FINI DI UNA CORRETTA DIAGNOSI
RICHIEDERA' PER IL PAZIENTE LA RISONANZA MAGNETICA.
MOLTIPLICATE IL COSTO DI QUESTO ESAME PER MIGLIAIA DI PAZIENTI AL GIORNO A LIVELLO NAZIONALE
E QUESTO PER TANTI ALTRI ESAMI SPESSO POCO UTILI,MA CHE VENGONO ESEGUITI LO STESSO,PER EVITARE CHE, UN GIORNO,
UN GIUDICE VI POSSA RICUSARE, CHIEDENDOVI,COME MAI NON AVETE FATTO QUEL DATO ESAME.
A TITOLO INFORMATIVO BISOGNA SAPERE CHE L '80% DEI CONTENZIOSI MEDICO-PAZIENTE SI RISOLVE CON NESSUNA
CONDANNA PER IL MEDICO.
23 Dicembre 2014 articolo pubblicato da corriere della sera.it/salute
MILANO - Dieci miliardi di euro, lo 0,75% del Pil. Tanto pesa sulla spesa sanitaria pubblica la cosiddetta medicina difensiva, ovvero l'atteggiamento che spinge i medici a un eccesso di prescrizioni per evitare eventuali contenziosi con i pazienti. Dieci miliardi: la stessa cifra incassata dallo Stato nel 2012 con l'Imposta Municipale Unificata (Imu). Poco meno di quanto investito in ricerca e sviluppo nel nostro Paese. Il dato emerge dalla relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori sanitari, dove risulta che nel decennio 1995-2005 la spesa sanitaria in Italia è quasi raddoppiata, passando da 48 a 92 miliardi di euro l'anno. E il trend all'orizzonte sembra mantenere questa rotta: malgrado nel 2011 sia diminuita di circa 700 milioni rispetto a quella dell'anno precedente, la spesa (112 mld) è tuttavia destinata ad aumentare del 2,2% secondo la previsione per il 2012. E la medicina difensiva è uno dei capitoli più "pesanti".
I NUMERI - L'incidenza percentuale dei costi della medicina difensiva sulla spesa sanitaria è del 10,5% (farmaci 1,9%, visite 1,7%, esami di laboratorio 0,7%, esami strumentali 0,8%, ricoveri 4,6%). Sulla spesa privata sale al 14%, prendendo in esame soltanto i medici privati (farmaci 4%, visite 2,1%, esami di laboratorio 0,6%, esami strumentali 0,4%, ricoveri 0,1 %). In particolare, riferendosi a un'indagine del 2010, la Commissione ricorda il dato in base al quale il 53% del campione di medici esaminato dichiara di prescrivere farmaci a titolo "difensivo" e, mediamente, tali prescrizioni sono il 13% circa di tutte quelle uscite dal ricettario. Il dato s'impenna al 73% con riferimento alle visite specialistiche, dove le prescrizioni inutili diventano il 21% del totale effettuato dal singolo medico. Quasi sullo stesso valore il ricorso a esami di laboratorio come sorta di autotutela, prescritti dal 71% dei medici, con una media del 21% su quelli complessivi. La percentuale più alta appartiene agli esami strumentali: vi ricorre il 75,6 % dei medici.
MALASANITÀ - Un eccesso di sanità che deve far pensare, in tempi di spending review. Nella relazione, che copre quasi quattro anni di lavoro (da aprile 2009 a dicembre 2012), si parla anche di malasanità con 570 casi, tra errori del personale e disfunzioni. In 400 casi c'è stata la morte del paziente e il maggior numero di segnalazioni di presunti errori, ben 1 su 5, è relativo al parto. Sul totale, 261 decessi sono legati a presunti errori medici e 139 a inefficenze di vario tipo. Ma il dato che balza agli occhi è un altro: circa la metà dei decessi è concentrata in due sole regioni: Calabria (87) e Sicilia (84). Sul totale dei casi monitorati, 117 si sono verificati in Sicilia, 107 in Calabria, 63 nel Lazio, 37 in Campania, 36 in Emilia Romagna e Puglia, 34 in Toscana e Lombardia, 29 in Veneto, 24 in Piemonte, 22 in Liguria, 8 in Abruzzo, 7 in Umbria, 4 nelle Marche e Basilicata, 3 in Friuli, 2 in Molise e Sardegna, 1 in Trentino. Per i decessi, dopo il triste record di Calabria e Sicilia, ci sono il Lazio con 42 morti, Campania 30, Emilia Romagna 28, Puglia 25, Toscana 22, Piemonte 18, Veneto 16, Liguria 14, Lombardia 13, Abruzzo 8, Basilicata e Umbria 3, Sardegna e Friuli 2, Trentino, Marche e Molise 1. Su 104 episodi di malasanità al momento della nascita, la metà è concentrata tra Sicilia e Calabria, seguite da Campania e Puglia. Proprio nel Mezzogiorno si concentra un più alto numero di punti nascita di piccole dimensioni e con pochissimi parti e si concentrano le percentuali maggiori di tagli cesarei.
SABATO 3 GENNAIO 2015, PARLIAMO DI COME MANTENERE ATTIVA LA MEMORIA NELL'ANZIANO
I cambiamenti cognitivi
Il progredire dell'età comporta, necessariamente, l'impoverimento dal punto di vista intellettivo; non bisogna però pensare che questa sia una prerogativa degli anziani. Studi condotti sull'argomento hanno indicato che il cosiddetto "deterioramento" inizia a circa 30 anni e poi progredisce anche se, naturalmente, non sempre alla stessa velocità!
Ciò che è importante è la consapevolezza che questi cambiamenti sono perfettamente naturali e che le modifiche che le nostre capacità subiscono, non sono necessariamente sintomo di una malattia.
Le considerazioni che abbiamo appena fatto portano, per contro, a dover delineare anche quegli aspetti che invece possono e devono destare preoccupazione. Oggi li vedremo solo marginalmente perché, essendo aspetti legati alla patologia, hanno bisogno di una trattazione più completa che comprenda anche l'esposizione dei sintomi e delle cause.
Per restringere il campo e per mantenere il collegamento con ciò di cui parleremo nei prossimi incontri, e cioè l'importanza della memoria, limitiamoci solamente a fornire una definizione di "demenza".
Secondo i manuali di diagnostica è possibile parlare di demenza quando ci si trova di fronte ad una tale compromissione delle funzioni, che non è più possibile far fronte alle richieste della vita di tutti i giorni, compiere ad esempio movimenti che avevamo imparato, avere un comportamento in società che sia adeguato alle circostanze.
Da questi elementi si rileva come l'aspetto forse più drammatico sia proprio quello legato all'inadeguatezza, e cioè ad un comportamento che non è quello adatto a quella situazione o, comunque, non è quello che ci si aspetta da noi.
La conoscenza di ciò che è l'invecchiamento normale e quello che è invece l'invecchiamento dovuto alla malattia, permette di distinguere tra due tipi di decadimento mentale:
Modificazioni psicofisiologiche
Parliamo di modificazioni psicofisiologiche per riferirci ad attività che, col passare degli anni, vanno incontro a diminuzione sia pur con sensibili differenze tra una persona e l'altra. Anche queste, come la memoria, dipendono dal processo di invecchiamento.
Molto brevemente si può dire che questa diminuzione è da ricercare nei cambiamenti progressivi che si manifestano nei nostri organi periferici; tra le attività che cominciano a calare vi sono:
Abbiamo dunque parlato delle modifiche nel nostro modo di imparare (i cambiamenti cognitivi di cui dicevamo prima) e delle modifiche nel nostro corpo: questa suddivisione che abbiamo fatto ci permette di affermare una cosa che ha conseguenze molto importanti.
Il decadimento della memoria può essere contrastato con un adeguato esercizio, mentre per le modifiche della vista e dell'udito l'esercizio ha una scarsa influenza.
Modificazioni affettive ed emozionali
Con l'invecchiamento il modo di esprimere gli affetti tende a modificarsi e si concentra molto su se stessi: ci si riferisce di più, infatti, alla propria condizione personale e si parla spesso, ad esempio, del proprio benessere fisico, della propria condizione economica e sociale.
Con l'avanzare dell'età, si è visto, che i propri pensieri e le proprie emozioni si concentrano soprattutto sui contenuti che riguardano il proprio presente ed il proprio passato. Un aspetto importante che bisogna considerare è quello relativo all'invecchiamento e alla motivazione, all'essere cioè stimolati a fare qualcosa.
Durante il periodo lavorativo in genere si pensa al successo, ad affermarsi, a realizzarsi: con l'avanzare dell'età questi elementi si modificano e divengono un tentativo per conservare la propria forza, il prestigio, il ruolo che si era in precedenza conquistato.
Spesso si accentuano alcune caratteristiche di personalità, nel senso che si può essere più rigidi ed introversi; è come se chi in gioventù aveva aspetti "da vecchio", diventasse ancora più vecchio.
A volte questi segni negativi che l'età porta con sé, si sommano a difetti che in precedenza c'erano già. A fronte di aspetti positivi che ci sono e che vedremo, è bene soffermarsi ancora su alcune caratteristiche forse meno piacevoli ma tuttavia presenti.
E' abbastanza frequente il fenomeno cosiddetto "dell'isolamento": una maggiore pigrizia porta a camminare di meno, problemi alla vista e all'udito possono limitare un po' negli scambi con gli altri. Tutto ciò contribuisce a far sì che la persona si ritiri e che sia restia a conoscere gente.
La differenza con i bambini si coglie bene in questa circostanza: mentre questi si accettano subito tra di loro, gli anziani sono portati a rifiutarsi, sia per disinteresse sia perché probabilmente si è radicata in loro anche una certa diffidenza.
Proprio a partire da questa considerazione occorre invece sottolineare che stare ai margini non contribuisce affatto ad affrontare bene la vecchiaia : oltre a ridurre i contatti e gli stimoli, infatti, non tenere in esercizio le nostre capacità di ottenere nuove conoscenze peggiora anche l'umore in quanto si diventa sempre più sospettosi.
E' fuori di dubbio che la persona anziana abbia una minore capacità di adattamento, ma è proprio per questo che bisogna prevedere qualcosa che lo compensi ed è ciò che le associazioni, i gruppi e - più in generale - le politiche sociali tendono a fare.
Nella vecchiaia, tuttavia, non ci sono solo aspetti come quelli di cui abbiamo parlato sinora: certi tratti dell'età giovanile infatti si conservano ma con caratteristiche di moderazione. Si è meno impulsivi verso gli altri e poi l'esperienza ed una certa abitudine alla disillusione contribuiscono ad un atteggiamento più paziente e un po' più tollerante.
Si tratta di un aspetto che, opportunamente coltivato, può offrire una certa sicurezza proprio perché permette di sostituire quelle che in passato potevano essere illusioni, con progetti più vicini alle attuali capacità.
Questo chiude un po' il cerchio da dove l'abbiamo iniziato: abbiamo conosciuto le modificazioni principali ma cominciamo a vedere anche quali sono le risorse che permettono di affrontare al meglio questo cammino.
RITARDARE LA VECCHIAIA
La longevità viene definita come "la sopravvivenza oltre l'età media probabile"; nonostante siamo stati invasi dai miti con il racconto di vite umane che hanno di gran lunga superato i secoli quali quella di Noè o Matusalemme, si può affermare che la durata massima non è cambiata e che il termine sta intorno ai 100/110 anni.
L'avvicinarsi della vecchiaia, il notare i primi sintomi alimenta ancora, tuttavia, il sogno dell'immortalità; l'essere umano cerca sempre infatti il modo di prolungare la propria vita.
Anche in questa circostanza, però, è il mito che ci viene in aiuto per ricordarci che l'elisir di lunga vita non serve a molto….Zeus aveva donato a Titone, personaggio mitologico, il dono dell'immortalità ma non quello dell'eterna giovinezza. Titone così continuava a vivere ed invecchiare, nella mente e nel corpo; la sua esistenza era diventata un'infinita vecchiaia al punto che egli stesso chiese a Zeus di dargli la morte.
Questo ci porta al centro della questione: non è da ricercare la lunga vita ma, semmai, la fontana dell'eterna giovinezza. Se esista, oppure no, non è facile affermarlo. Certo è che in ognuno di noi un'adeguata preparazione alla vecchiaia porta in sé la potenzialità per viverla al meglio.
La scienza ha costruito diverse teorie per spiegare l'invecchiamento, vediamone molto sinteticamente alcune.
Ciò che possiamo serenamente riconoscere, senza che nessuno possa sostenere il contrario, è che il traguardo dell'immortalità o dell'allungamento della vita ci è negato, benchè negli ultimi secoli la durata dell'età media si sia allungata.
A partire da ciò dunque vediamo di dedicare più spazio a tutto ciò che si può fare non tanto per allungare la vita, ma per ritardare la vecchiaia affrontando uno degli aspetti di maggiore interesse.
Conservare la memoria
Uno degli aspetti di maggior rilievo, nel corso dell'invecchiamento, è quello legato alla memoria e a quegli episodi in cui ci si rende conto che le capacità non sono più le stesse. La memoria è un elemento fondamentale per la nostra identità perché ci permette di collocare la nostra esistenza in un contesto, di dare a noi stessi un significato quando ci riconosciamo nelle nostre azioni, nelle nostre relazioni con gli altri, nei nostri ricordi.
La memoria è una funzione molto complessa, non consiste solo nella capacità di riprodurre nella nostra mente un'esperienza precedente ma nella capacità di generare nuove conoscenze. E' dunque un insieme di funzioni che consente di immagazzinare nuove informazioni grazie anche alla collaborazione degli organi di senso.
Il ricordo può essere relativo ad un'esperienza di molti anni prima o solo di pochi istanti, può aver coinvolto tutti gli organi di senso oppure solo uno.
Come possiamo facilmente immaginare ogni giorno il nostro cervello riceve una vastissima quantità di informazioni, attraverso segnali di vario genere. Non di tutti questi segnali siamo però consapevoli e molti di questi non lasciano traccia.
Tipi di memoria
Senza addentrarci in argomentazioni troppo tecniche vediamo brevemente quali sono i diversi tipi di memoria e le loro caratteristiche. Una distinzione classica è quella tra Memoria a breve termine (MBT) e Memoria a lungo termine (MLT).
Abbiamo visto sommariamente che cos'è la memoria e come funziona, grazie soprattutto alla collaborativa presenza degli organi di senso che ci permettono di ricevere numerose informazioni. Vediamo ora quali sono i fattori che la influenzano rendendo difficile o meno l'acquisizione di nuove informazioni.
Se partiamo dal fatto che i sensi sono essenziali, va da sé che disturbi a tali organi possano far sì che il soggetto non riceva le informazioni corrette; chi ha disturbi alla vista o all'udito, per esempio, può sembrare smemorato in realtà ha un "minor numero di magazzini" in cui collocare i suoi ricordi.
Oltre all'integrità degli organi di senso, il buon funzionamento della memoria dipende anche dall'attenzione che il soggetto rivolge e dal tipo di affetto che la situazione evoca; è esperienza comune infatti ricordare meglio le cose piacevoli, piuttosto che quelle spiacevoli.
Un altro evento che influenza la memoria è la condizione psicofisica in cui il soggetto si trova; se una persona sta vivendo uno stato ansioso la memoria è negativamente influenzata. Anche la depressione rappresenta un elemento di disturbo: in tale circostanza infatti si nota una minore ricettività agli stimoli ed un livello di attenzione significativamente compromesso. La concentrazione della persona è infatti per lo più rivolta a se stessa, con sentimenti di incapacità, di incompetenza e sfiducia.
Nell'anziano, ma accade anche in altre fasi del ciclo di vita, è possibile anche l'instaurarsi di un circolo vizioso: la depressione e l'ansia possono scaturire da una riduzione dei rapporti sociali, dalla perdita di persone care o da condizioni di malattia che possono essere invalidanti.
Tali circostanze possono compromettere la memoria e favorire la condizione ansiosa innestando una reazione circolare di non facile soluzione.
A fronte di queste affermazioni è opportuno però ricordare che ad essere colpiti da disturbi della memoria patologici e progressivamente sempre più gravi al punto da perdere l'autonomia, è il 10/15% degli ultra 65enni. La percentuale maggiore degli anziani, infatti, non sviluppa una forma demenziale e conserva un "buon cervello" a patto che lo tenga sempre allenato.
Un buon esercizio è, infatti, fondamentale anche in considerazione del fatto che, a dispetto di ciò che si potrebbe pensare, nella persona anziana il nuovo apprendimento è facilitato in quanto si inserisce su di una rete di nozioni già organizzate. Del resto, come già abbiamo più volte sottolineato, la capacità di ricordare resta invariata, benchè possa richiedere più tempo.
Principi per migliorare la propria memoria
Spesso diciamo che abbiamo dimenticato qualcosa quando in realtà sarebbe più corretto dire che non l'abbiamo colta o, meglio, che non vi abbiamo prestato attenzione. Ciò che ci interessa richiama la nostra attenzione e si fissa nella nostra memoria perché, dentro di essa, esistono le strutture in cui collocarla. Possiamo pensare alla memoria come ad una grande biblioteca dove vi sono tanti scaffali pronti ad accogliere i nostri ricordi.
L'attenzione è un aspetto molto importante; non per nulla, come possiamo notare noi stessi, siamo interessati a ciò che ci è più familiare e più siamo esperti in qualcosa , più stiamo attenti.
Se una cosa non ci interessa, invece, facciamo molta più fatica a ricordare e spesso, come è stato dimostrato, la ripetizione meccanica è inutile. Come possiamo spiegare questo fatto?
Occorre tener presente che la ripetizione non ci assicura l'apprendimento, ma è determinante il modo in cui noi elaboriamo ciò che stiamo imparando. Se a ciò aggiungiamo quanto detto prima, e cioè che - ad esempio - abbiamo a che fare con un argomento che non ci interessa, vediamo che è difficile mantenere costante l'attenzione.
C'è un altro elemento che influisce sul ricordo ed è il significato di ciò che stiamo imparando. Ad esempio una serie di numeri costituisce uno dei materiali più difficili da ricordare perché hanno poco significato ed è facile confonderli.
Se una cosa è difficile da capire è anche difficile da ricordare, in quanto la comprensione e la memoria sono strettamente collegate. Quando parliamo di comprensione ci riferiamo alla capacità di unire nuove informazioni, a quelle che già possediamo e questa capacità risente anche di come noi analizziamo ciò che vogliamo imparare.
Superata la convinzione che basti ripetere meccanicamente, dopo questa premessa è agevole arrivare ad affermare che più profondamente elaboriamo ciò che dobbiamo imparare e migliore sarà il ricordo. Facciamo un esempio pratico: io ora potrei chiedere a tutti voi di impegnarvi in un compito. Il gruppo alla mia destra dovrà ricordarsi quante volte mi sono impaperata oggi, il gruppo alla mia sinistra dovrà contare quante volte ho detto la parola "memoria", il gruppo centrale dovrà ricordare il significato complessivo di quello che ho detto e cercare di dargli un titolo, ed il gruppo in fondo dovrà stare attento e notare se io faccio delle ripetizioni.
Questo esempio che può sembrare stupido ci indica che le operazioni da compiere per ricordarci qualcosa possono essere più o meno profonde e che il risultato migliore per avere un buon ricordo si ottiene con un'elaborazione più profonda che richiede un uso maggiore delle strutture della memoria.
Il gruppo centrale che deve prestare attenzione a quello che dico e dare un titolo a questa giornata, deve necessariamente impegnarsi di più e deve stare attento perché deve cogliere il senso di quello che dico, sintetizzarlo estraendo le informazioni più importanti, e dargli un titolo che - in poche parole - racchiuda tutto ciò che è stato esposto.
Gli altri gruppi a cui ho chiesto di fare qualcosa, invece, hanno un compito molto più superficiale e, se ci pensiamo bene, di semplice conteggio meccanico: devono infatti sapermi dire quante volte ho fatto o ho detto una determinata cosa. Di conseguenza il loro ricordo sarà ben diverso, rispetto a quello dell'altro gruppo.
Ricordare cose ed eventi
Per mantenere giovane la memoria e compensare alcune lacune esistono suggerimenti di una certa efficacia, già usati nell'antichità. Uno di questi è il metodo dei loci, dove i loci rappresentavano il luogo in cui veniva custodita idealmente l'informazione. Gli oratori per ricordare un discorso lo suddividevano mentalmente in frammenti e, immaginando ad esempio, la disposizione dei locali della propria abitazione, collocavano le varie parti del discorso nelle stanze e poi, a partire dall'ingresso, le rievocavano mentalmente e potevano così tenere il loro discorso senza dimenticare nulla.
Possiamo provare a memorizzare la lista della spesa, basandolo su un percorso che conosciamo, ad esempio la nostra casa. Immaginiamo di dover acquistare il pane e piazziamolo, idealmente, sulla soglia di casa poi entriamo in cucina e vediamo 5 o 6 uova spiaccicate sul tavolo, il lavello pieno di piatti ci ricorda che dobbiamo comprare il detersivo, dal frigorifero trabocca la lattuga e così via.
Quando dobbiamo ricordare queste cose basta pensare ai locali e ai mobili della nostra casa e ritrovare l'immagine di ciò che dobbiamo comprare.
Un esperimento di questo tipo è stato condotto da due studiosi americani che hanno inserito immagini su un percorso casa-lavoro inserendo gli elementi che bisognava ricordare. (vedi figura)
Un altro stratagemma piuttosto noto è quello delle parole chiave, grazie a cui ad un nome o un oggetto vengono collegati dei fatti; ad esempio se vorremo ricordare quando ci siamo incontrati per parlare di Memoria, potremo pensare ora di associare la lettera M di memoria alla mia iniziale del nome e quella del mese di Giugno alla iniziale del mio cognome, creando così un collegamento tra due eventi.
Naturalmente poi ognuno troverà un modo più personale di fare collegamenti, riferendosi alla sua personale esperienza.
Questo ci fa capire che se utilizziamo le nostre capacità per elaborare un qualsiasi contenuto, teniamo in esercizio le nostre facoltà e organizziamo le nostre conoscenze in modo tale da avere un rapido accesso ad esse, e di poterle rievocare con più velocità.
VIVERE LA VECCHIAIA
Se tutto va bene, la vecchiaia arriva e quindi occorre saperla vivere. Uno degli aspetti importanti di cui occorre parlare è questo: prima di fornire indicazioni sul come provare a viverla è bene vedere invece quali sono le strategie che, secondo la maggior parte degli studiosi, è bene evitare perché destinate al fallimento. Esistono infatti modi di impostare la vita, posti in essere in modo più o meno intenzionale, che tendono ad opporsi alla vecchiaia nel tentativo di risolverne i difetti ed i problemi. Vediamo alcune di queste strategie.
La medicalizzazione della vecchiaia
Tutto viene impostato sui problemi medici, per cui curarsi diventa uno scopo, quasi il maggior impegno della giornata. Conseguentemente la malattia diventa un incubo e la maggior parte dei rapporti tra le persone si impernia su quelle che sono le figure centrali nella salute e cioè il medico, il farmacista. La maggior parte degli spostamenti che una persona fa diventano quelli per andare a fare gli esami, per ritirare gli esiti, per prendere un appuntamento. Preciso subito che questo atteggiamento non è una prerogativa della persona anziana, perché vi sono ad esempio quadri di nevrosi in cui la malattia viene desiderata perché, in un certo senso, può essere usata come giustificazione ad esempio per gli insuccessi.
Tornando all'anziano, un aspetto che si osserva di frequente è l'uso della malattia, che diventa così qualcosa di cui parlare o da esibire quando non si possono mostrare successi diversi. Diventa così un primato, triste, ma sempre un primato.
Ecco perché il medico, in presenza di una situazione di questo tipo, dovrebbe scoraggiare tali strategie cercando di dare meno importanza alle regole e rinunciando, qualche volta, ad accertamenti non indispensabili che potrebbero accentuare questo tipo di atteggiamento nell'anziano.
Il giovanilismo
Il giovanilismo è l'esatto contrario di ciò di cui abbiamo parlato prima, e cioè rappresenta la negazione della vecchiaia nel senso che il comportamento viene impostato su standard di vita che sono più tipici di altre fasce di età.
Sono i comportamenti di chi, non accettando il passare degli anni, mantiene modalità esistenziali da giovanotto o da ragazzina: occorre dire che questo tipo di atteggiamento è spesso incoraggiato dalla società che per rivalutare l'anziano propone non un ruolo preciso ma, piuttosto, un falso prolungamento della gioventù che ha lo scopo di convincere che l'efficienza e la freschezza sono ancora presenti, che la vecchiaia è lontana e che, forse, non esiste neppure.
Ancora qualcosa si può dire a proposito delle varie iniziative che sorgono per accompagnare la vecchiaia: molto spesso si sente parlare di promozione di attività per gli anziani dove a tutti i costi si vuol insegnare qualcosa di nuovo, come a voler moltiplicare gli stimoli e ad incrementare le capacità che una persona può avere.
Pur con tutto il rispetto per questo tipo di iniziativa che comunque rappresenta un modo di prestare attenzione a questa fase del ciclo di vita, bisognerebbe considerare - anche alla luce di quanto abbiamo detto fin qui - che ciò su cui val più la pena di puntare è l'utilizzo delle conoscenze ottenute durante fasi sicuramente più produttive da un punto di vista intellettivo (infanzia, adolescenza, gioventù). Volersi misurare con cose nuove potrebbe infatti esporre a delusioni e potrebbe, in una certa misura, disperdere energie che potrebbero invece essere riutilizzate per far fruttare al meglio il patrimonio di cui già si dispone.
Il catastrofismo e l'atteggiamento polemico
Un'altra strategia comune è quella di assumere un atteggiamento pessimistico verso il mondo, le persone, i valori. La catastrofe mondiale attenua, così, la piccola catastrofe individuale dell'invecchiare. Ma questo non è un atteggiamento che paga perché, comunque, induce una serie di comportamenti che possiamo tranquillamente definire depressivi, in cui non c'è più posto per godere di ciò che ancora c'è. Spesso pessimismo e previsioni negative si accompagnano anche ad un atteggiamento polemico, poiché a tutti i livelli diventa importante individuare chi è il responsabile dei guai e quindi cercare di combatterlo.
Questo tratto della vecchiaia è così presente che diventa addirittura una caratteristica utilizzata anche in letteratura o nei film per definire la persona anziana: si va dal personaggio brontolone, al moralista e, per le donne, all'immagine della vecchia strega che vuole male a tutti!
Qualità e scelte utili
Come si definisce uno stile di vita positivo? Certamente non è facile una definizione che metta tutti d'accordo, tuttavia è bene soffermarci su quelle che si ritiene siano le modalità di vita utili che sono caratterizzate da determinate qualità.
Una di queste è l'adattabilità che, in vecchiaia, ha un particolare rilievo proprio perché viene intesa non nel senso di rassegnazione o sottomissione ma di riaggiustamento, di adeguamento a nuove situazioni. Adattarsi vuol dire, in sostanza, accettare che certi cambiamenti sono necessari e trovare ragioni nuove per cui il nuovo atteggiamento non è una rinuncia definitiva, ma qualcosa di provvisorio e reversibile. Un consiglio che si fornisce spesso, in casi in cui ci si trova di fronte a persone che hanno dovuto fare rinunce per loro importanti, è l'invito a vedere i cambiamenti obbligati, come una scelta.
Un esempio che si fa spesso è quello di sostituire a "Non posso più andare a caccia" la riflessione seguente" E' meglio che per qualche mese non vada più a caccia". Questa è una modalità che può sembrare una "presa in giro", ma se ci pensiamo bene è una strategia che utilizziamo già tutti i giorni per altre cose: è quello che ci aiuta a rendere più dolci situazioni che sarebbero invece più drastiche.
Un modo per favorirla può essere la sostituzione di ciò che si perde con qualcosa di nuovo: non vado più a caccia ma vado a visitare una città che non conosco. In fondo l'adattabilità è già in noi perché, oltre all'uso che abbiamo visto prima, la utilizziamo anche per superare momenti negativi per trovare valori positivi, anche in situazioni che per noi rappresentano un ripiego.
Un'altra qualità importante è la creatività che è stata definita come uno dei modi e dei mezzi essenziali che l'uomo utilizza allo scopo di portare in avanti le frontiere del possibile.
A rendere possibile la creatività concorrono alcuni aspetti, tra cui ad esempio l'immaginazione, la capacità di produrre tante idee, la flessibilità ovvero la capacità di cambiare schema.
La creatività è anche una delle tre doti ritenute essenziali per il progresso dell'umanità: le altre due sono la curiosità e l'umiltà. Vediamo come, nella vecchiaia, queste qualità si ritrovino in quanto la curiosità e la creatività possono persistere, nel senso che già sono aspetti che fanno parte anche della vita passata, e l'umiltà si accentua perché ci è già stata data la possibilità di sperimentare le nostre conoscenze ed i nostri limiti.
Ma come si sviluppa e si alimenta la creatività? Naturalmente è necessaria una preparazione ad essa, in quanto va stimolata sin dalla giovane età e poi elaborata, integrata, meglio definita.
La creatività, a differenza dell'apprendimento, di cui abbiamo già parlato, deve essere permanente ma non fornendo materiali nuovi da imparare, bensì ampliando e specializzando le qualità di ognuno.
Il celebre poeta Umberto Saba quando parla della vecchiaia, lo fa pensando non ad un'ora vuota, ma ad "un'ora grande" l'ora che accompagna un'età di vendemmia, di raccolto.
Connessa alla creatività è, abbiamo visto, la curiosità. Questo atteggiamento serve ad aprirsi al nuovo, rovesciando convinzioni e valutazioni.
Tra gli aspetti di cui maggiormente ci si lamenta, in vecchiaia, vi è la perdita di significato, legata ad esempio al non sentirsi utile, al non servire più a nulla.
La persona anziana si trova spesso in situazioni che agevolano questo modo di sentire: oltre all'assenza di un ruolo si percepisce, altresì, la percezione di creare problemi agli altri o di complicar loro la vita.
Questo insieme di sentimenti può creare uno stato emotivo in cui la persona oscilla tra la colpa e la sensazione di essere vittima degli altri, che lo trascurano senza motivo.
Nasce cosi' un bisogno, quello di essere utile agli altri, in un modo che abbia significato e che consenta di sfidare la quotidianità.
Ecco, questo è un desiderio che non ha bisogno di grandi realizzazioni ma che può essere soddisfatto anche su piccola scala con gesti piccoli e compatibili con la quotidianità del pensionato.
Strettamente legata a questo aspetto, è un'altra qualità importante per vivere bene:l'altruismo. E per questa attitudine, non possiamo dire che vi siano limitazioni: rendersi utili coltiva un po' l'impressione di essere necessari e dunque questa funzione diviene anche un valido meccanismo per difenderci dalla tendenza al vittimismo e alla compassione.
Molto spesso viene ricordata anche l'importanza dell'attività: dobbiamo ricordare una cosa importante che abbiamo detto all'inizio di questa esposizione e cioè che con la vecchiaia vi sono delle modificazioni nel nostro modo di apprendere e fare nuove conoscenze. L'attività dunque non diminuisce, semplicemente cambia.
Anche in questo caso è importante l'esatta valutazione dei problemi, cioè il distinguere tra quelli che possono essere risolti e quelli che non hanno soluzione. Per fare ciò sicuramente il confronto con gli altri è un'opportunità importante perché oltre a permettere di conoscere esperienze che possono rivelarsi utili, offre anche la possibilità di recuperare un po' il senso della misura e di essere maggiormente critici nei confronti di un evento, cercando di superare un coinvolgimento personale che ne disturba la valutazione.
In conclusione questa impostazione che abbiamo voluto dare nel trattare il tema della vecchiaia, ci porta a considerare la possibilità che abbiamo di prepararla al meglio, senza dimenticare che una buona strategia è quella di saper porre in essere una compensazione. Conosciamo ciò che potrà succedere e ci prepariamo ad accettarlo, sfruttando quello che ci resta senza farsi delle illusioni ma senza neppure perdere il senso della misura cercando di ricordare che il mantenersi giovani non necessariamente corrisponde alla perfetta forma fisica, ma a sane abitudini mentali.
La nostra cultura è ricca di esempi di questo tipo, recentemente il premio Nobel Rita Levi Montalcini che ha 93 anni, ha pubblicato un libro sulla vecchiaia in cui sfugge ai lamenti sulla condizione dell'anziano e mostra come ciò che si perde possa essere sostituito da qualcos'altro narrando la storia di personaggi molto attivi anche da vecchi, come Michelangelo, Galileo o Picasso.
Ed è proprio di Picasso il pensiero con cui chiudiamo questo incontro:"Tutto ciò che ho fatto è solo il primo passo di un lungo cammino.
ARTRITE-ARTROSI -ARTRITE REUMATOIDE 31 MAGGIO 2015
IntroduzioneArtrite è una parola generica che i medici usano per definire la situazione in cui le articolazioni sono doloranti e rigide, in realtà però esistono diversi tipi di artrite e ciascuno di essi ha diversi sintomi e terapie. Nella maggior parte dei casi l’artrite è cronica, cioè può durare anche per molto tempo.
L’artrite può colpire le articolazioni in quasi tutte le parti dell‘organismo: alcune forme di artrite causano cambiamenti che è possibile vedere ed avvertire, come ad esempio: gonfiore, calore e tumefazione nelle articolazioni. In alcuni pazienti il dolore ed il gonfiore durano solo per poco tempo, ma sono veramente gravi. Altre forme di artrite, invece, causano sintomi meno problematici, ma danneggiano comunque lentamente e costantemente le articolazioni.
L’artrite è una delle malattie più comuni del nostro paese. Milioni di adulti e metà della popolazione di età superiore ai 65 anni sono affetti da questa malattia; le persone anziane nella maggior parte dei casi sono affette da osteoartrosi, artrite reumatoide o gotta.
CauseQuali sono le cause dell’artrosi? L’invecchiamento è il maggior fattore di rischio per l’artrosi, anche se i ricercatori pensano che la causa cambi a seconda dalla parte del corpo che viene colpita: ad esempio l’artrosi delle mani o del femore può essere ereditaria, invece quella delle ginocchia può essere collegata al sovrappeso. Le ferite oppure l’uso eccessivo possono causare l’artrosi nelle articolazioni come quelle delle ginocchia, del femore o delle mani.
L’artrite reumatoide è invece una malattia autoimmune. Quando si è affetti da artrite reumatoide, l’organismo attacca i tessuti dell’articolazione proprio come se stesse tentando di proteggervi da una ferita o da una malattia: ad esempio, se una scheggia vi ha ferito un dito, si verifica un’infiammazione, cioè il dito diventa dolorante, arrossato e gonfio. L’artrite reumatoide provoca un’infiammazione delle articolazioni. Quest’infiammazione, a sua volta, causa dolore, gonfiore e rigidità che possono durare anche per ore.
Un attacco di gotta può iniziare quando si formano dei cristalli di acido urico nel tessuto connettivo e/o nelle articolazioni. Questi depositi causano gonfiore, tumefazione, calore, dolore e rigidità nell’articolazione. Gli attacchi di gotta spesso avvengono dopo aver mangiato alimenti come: pesce azzurro, fegato, legumi secchi, piselli, acciughe o ragù di carne. Anche l’abuso di alcool, il sovrappeso e alcuni farmaci possono far peggiorare la gotta. Negli anziani, alcuni farmaci per la pressione possono far aumentare la probabilità di un attacco di gotta.
Tra le altre forme di artrite troviamo: l’artrite psoriasica (che colpisce le persone affette dalla psoriasi, una malattia della pelle), la spondilite anchilosante (che colpisce soprattutto la spina dorsale), l’artrite reattiva (cioè l’artrite che si verifica come reazione ad un’altra malattia dell’organismo) e l’artrite temporomandibolare (a carico dell’articolazione che unisce la mandibola alle altre ossa del volto).
SintomiI campanelli d’allarme tipici delle forme di artrite sono:
Cura e rimedi alternativi
Ciascun tipo di artrite richiede una terapia diversa, ma esistono alcune cure comuni a tutte le forme di questa malattia.
Le tecniche principali per convivere con un’artrite di qualunque forma sono:
Esistono farmaci appositi per il dolore e il gonfiore:
DOMATTINA ALLE ORE 9.30 SARA' OSPITE DELLA TRASMISSIONE MEDICINA DENTRO CASA
IL DOTT ADRIANO CESTRONE DIRETTORE USCENTE DELLA SANITA' PADOVANA
CON IL QUALE PARLEREMO DELLO STATO DI SALUTE DELLA SANITA' PADOVANA E VENETA.
CERCHEREMO DI CAPIRE SE PRIMA O POI LE LISTE D'ATTESA POTRANNO ESSERE AZZERATE,
RICORRENDO ALL'APERTURA SERALE DEGLI OSPEDALI E DEGLI AMBULATORI,SEMPRE CHE LA COLLETTIVITA' PRIMA E LA CLASSE MEDICA E PARAMEDICA DOPO NE SARANNO FAVOREVOLI.
CON LA VOSTRA COLLABORAZIONE POTREMO SAPERE QUALCOSA SULLA FUTURA COSTRUZIONE DEL NUOVO OSPEDALE DI PADOVA E SULLA RIORGANIZZAZIONE DELLA
NUOVA SANITA' NELLA CITTA' DEL SANTO.
LA PROF ALESSANDRA GRAZIOTTIN,GINECOLOGA, A RADIO GAMMA 5
SABATO 12 GENNAIO 2013 ALLE ORE 9.10 SARA' OSPITE DELLA TRASMISSIONE MEDICINA DENTRO CASA LA PROF.SSA
ALESSANDRA GRAZIOTTIN GINECOLOGA PRESSO MILANO.
L'ARGOMENTO DELLA MATTINATA SARA' : LA MENOPAUSA E LA MENOPAUSA PRECOCE.
QUALE RISVOLTI PSICOLOGICI E QUALE TERAPIA. IN PARTICOLARE QUALI LE CAUSE PIU' FREQUENTI DELLA MENOPAUSA PRECOCE E QUALE IL TRATTAMENTO.
CAUSE NATURALI,ORMONALI E IATROGENE OVVERO MENOPAUSA INDOTTA DALL'ASSUNZIONE SCORRETTA O IN ECCESSO DI ORMONI.
SI PUO' INTERVENIRE COME CONSUETUDINE ATTRAVERSO GLI SMS.
A DOMANI
DOTT PIERGIUSEPPE PERAZZINI-VERONA
-SABATO MATTINA 19 GENNAIO 2013 ALLE ORE 9.15 SARA' OSPITE IL DOTT.PIERGIUSEPPE PERAZZINI CHIRURGO ORTOPEDICO DIRETTORE DEL CENTRO DI ORTOPEDIA DELLA CLINICA SAN FRANCESCO.
LA STRUTTURA E' CONVENZIONATA CON LA REGIONE VENETO,IL DOTT PERAZZINI PRESENTERA' UN INNOVATIVO INTERVENTO DI PROTESI D'ANCA CON L'UTILIZZO DEL ROBOT CHIRURGICO.
QUESTO TIPO D'INTERVENTO E' STATO ESEGUITO PER LA PRIMA VOLTA IN EUROPA E IN ITALIA.
LA CHIRURGIA ORTOPEDICA ROBOTICA CONSENTE DI ESEGUIRE INTERVENTI DI ATROPROTESI D'ANCA ESTREMAMENTE PRECISI,I CUI TEMPI DI RECUPERO SONO RIDOTTI E LA SINTOMATOLOGIA MENO RILEVANTE.FONDAMENTALE AI FINI DEL PROGRAMMA OPERATORIO E' LA TAC CHE DEVE ESSERE ESEGUITA CON STRUMENTAZIONE APPROPRIATAMENTE PROGRAMMATA PER LA SUCCESSIVA COLLOCAZIONE DI REPERI CHIRURGICI.
I REPERI CHIRURGICI CONSENTIRANNO DI SEGUIRE PASSO PASSO LA PREPARAZIONE DELLA CAVITA' RICEVENTE NEL FEMORE DEL PAZIENTE E LA SUCCESSIVA COLLOCAZIONE DELLA PROTESI,RIDUCENDO AL MINIMO GLI ERRORI.
IN PARTICOLARE E' DA SOTTOLINEARE CHE IN QUESTO CASO LA PROTESI NON VIENE CEMENTATA ALL'INTERNO DELL'OSSO MA INSERITA PER COMPRESSIONE.
PER SAPERNE DI PIU' ASPETTO I VOSTRI SMS DURANTE L'INETRVISTA
INFEZIONI OSPEDALIERE
LUNEDI 25 MARZO 2013 ALLE h 08.15, NEL CORSO DELLA RUBRICA RADIOFONICA MEDICINA DENTRO CASA,IL DOTT CLAUDIO DARIO DIRETTORE GENERALE DELL'AZIENDA OSPEDALIERA DI PADOVA PARLERA' DELLE INFEZIONI OSPEDALIERE. 1° INETRVISTA RADIOFONICA IN ASSOLUTO DEL DIRIGENTE.
SI TRATTA DI UN ARGOMENTO ESTREMAMENTE IMPORTANTE,LA CUI APPLICAZIONE DELLE LINEE GUIDA,ANCHE LE PIU' ELEMENTARI COME QUELLO DEL CORRETTO LAVAGGIO DELLE MANI DEGLI OPERATORI,DEI PAZIENTI E DEI VISITATORI, PUO' RIDURRE AL MINIMO IL CONTAGGIO.
CONTAGGIO DA BATTERI ELEMENTARI,CHE IN PAZIENTI PARTICOLARMENTI VULNERABILI,RICOVERATI IN REPARTI AD ALTO RISCHIO ,REPARTI CHIRURGICI,ONCOLOGICI E NEONATALI PER PREMATURI,DIVENTANO PERICOLOSI MENNTENDO A RISCHIO ANCHE LA VITA DEI PAZIENTI RICOVERATI.
AZIENDA OSPEDALIERA DI PADOVA ,I NUMERI: 100.000 ACCESSI PRONTO SOCCORSO X ANNO,
370.000 VISITE X ANNO,63.000 RICOVERI X ANNO,6.300.000 PRESTAZIONI AMBULATORIALI ANNO,40.000 INETRVENTI X ANNO.
INFEZIONI OSPEDALIERE: UNIONE EUROPEA=4,1 MILIONI,PARI AL 7,1%. ITALIA:450.000-700.000 CASI 5-8%. CENTRI DI 3° LIVELLO EUROPEI FINO A 9.9% DEI RICOVERI. AZIENDA OSPEDALIERA
DI PADOVA 8.9% .
MEDICINA DIFENSIVA
SABATO 13 DICEMBRE 2014
COSA SI VUOL DIRE CON QUESTA ESPRESSIONE? SI TRATTA DEL COMPORTAMENTO ADOTTATO DA MOLTISSIMI,
SE NON DA TUTTI,I MEDICI NELLO SVOLGIMENTO DELLA PROPRIA PROFESSIONE.
E' UN COMPORTAMENTO ADOTTATO PER EVITARE,IN SEGUITO A DENUNCE,L'ACCUSA DI MALPRACTICE, TERMINE
INGLESE CHE STA PER : MALASANITA', IMPERIZIA E/O NEGLIGENZA ECC.
INFATTI NEGLI ULTIMI ANNI SONO AUMENTATE LE DENUNCE E QUINDI I PREMI ASSICURATIVI CHE I MEDICI DEVONO
PAGARE PER PROTEGGERE IL PROPRIO STIPENDIO E I BENI DELLA PROPRIA FAMIGLIA.
QUINDI IL CONTENZISO MEDICO PAZIENTE HA ENORMEMENTE AUMENTATO I COSTI ASSICURATIVI E SOPRATTUTTO
I COSTI LEGATI AD ESAMI CLINICI E STRUMENTALI CHE SPESSO FANNO IL MAL ,DEL PAZIENTE
E DELLA COLLETTIVITA'.
CHI SONO I PERSONAGGI COINVOLTI IN UN CONTENZIOSO DELLA SALUTE ?
IL MEDICO,IL PAZIENTE,IL GIUDICE E IL CONSULENTE DEL GIUDICE.
IL CONSULENTE E' NECESSARIO POICHE' NON SEMPRE I GIUDICI SONO ESPERTI IN MATERIA SANITARIA,QUINDI
HANNO BISOGNO DI QUALCUNO CHE LI AFFIANCHI NELLA RICERCA DEI DATI.
OLTRE AD UN ERRATO COMPORTAMENTO DEL MEDICO,PERALTRO RARO,SPESSO IL CONSULENTE VA ALLA RICERCA
DELLA CARENZA DI DATI UTILI ALLA CORRETTA DIAGNOSI.
ESEMPIO: SE PER DEFINIRE UN TUMORE EPATICO OLTRE AI DATI CLINICI ED EMATOCHIMICI, SONO NECESSARI
L'ECOGRAFIA , LA TAC ADDOMINALE E RARAMENTE LA RISONANAZA MAGNETICA MA CHE
LA MAGGIOR PARTE DEI MEDICI SI ASTIENE DAL FARE ESEGUIRE PERCHE' RITENUTO
NON SEMPRE NECESSARIO.
ECCO ,NEL CASO DI UN CONTENZIOSO MEDICO - PAZIENTE,IL GIUDICE CHIEDERA' AL MEDICO : PERCHE' AL
PAZIENTE NON HA FATTO ESEGUIRE LA RM ? A MIO AVVISO, DIRA' IL GIUDICE,SU SUGGERIMENTO DEL
CONSULENTE,TALE ESAME AVREBBE FAVORITO UNA CORRETTA DIAGNOSI E QUINDI AVREBBE ALLEVIATO
LE SOFFERENZE DEL PAZIENTE. MA IN REALTA' NON SEMPRE E' COSI.
QUINDI MOLTI MEDICI,ANCHE SE NON LA RITENGONO NECESSARIA E UTILE AI FINI DI UNA CORRETTA DIAGNOSI
RICHIEDERA' PER IL PAZIENTE LA RISONANZA MAGNETICA.
MOLTIPLICATE IL COSTO DI QUESTO ESAME PER MIGLIAIA DI PAZIENTI AL GIORNO A LIVELLO NAZIONALE
E QUESTO PER TANTI ALTRI ESAMI SPESSO POCO UTILI,MA CHE VENGONO ESEGUITI LO STESSO,PER EVITARE CHE, UN GIORNO,
UN GIUDICE VI POSSA RICUSARE, CHIEDENDOVI,COME MAI NON AVETE FATTO QUEL DATO ESAME.
A TITOLO INFORMATIVO BISOGNA SAPERE CHE L '80% DEI CONTENZIOSI MEDICO-PAZIENTE SI RISOLVE CON NESSUNA
CONDANNA PER IL MEDICO.
23 Dicembre 2014 articolo pubblicato da corriere della sera.it/salute
MILANO - Dieci miliardi di euro, lo 0,75% del Pil. Tanto pesa sulla spesa sanitaria pubblica la cosiddetta medicina difensiva, ovvero l'atteggiamento che spinge i medici a un eccesso di prescrizioni per evitare eventuali contenziosi con i pazienti. Dieci miliardi: la stessa cifra incassata dallo Stato nel 2012 con l'Imposta Municipale Unificata (Imu). Poco meno di quanto investito in ricerca e sviluppo nel nostro Paese. Il dato emerge dalla relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori sanitari, dove risulta che nel decennio 1995-2005 la spesa sanitaria in Italia è quasi raddoppiata, passando da 48 a 92 miliardi di euro l'anno. E il trend all'orizzonte sembra mantenere questa rotta: malgrado nel 2011 sia diminuita di circa 700 milioni rispetto a quella dell'anno precedente, la spesa (112 mld) è tuttavia destinata ad aumentare del 2,2% secondo la previsione per il 2012. E la medicina difensiva è uno dei capitoli più "pesanti".
I NUMERI - L'incidenza percentuale dei costi della medicina difensiva sulla spesa sanitaria è del 10,5% (farmaci 1,9%, visite 1,7%, esami di laboratorio 0,7%, esami strumentali 0,8%, ricoveri 4,6%). Sulla spesa privata sale al 14%, prendendo in esame soltanto i medici privati (farmaci 4%, visite 2,1%, esami di laboratorio 0,6%, esami strumentali 0,4%, ricoveri 0,1 %). In particolare, riferendosi a un'indagine del 2010, la Commissione ricorda il dato in base al quale il 53% del campione di medici esaminato dichiara di prescrivere farmaci a titolo "difensivo" e, mediamente, tali prescrizioni sono il 13% circa di tutte quelle uscite dal ricettario. Il dato s'impenna al 73% con riferimento alle visite specialistiche, dove le prescrizioni inutili diventano il 21% del totale effettuato dal singolo medico. Quasi sullo stesso valore il ricorso a esami di laboratorio come sorta di autotutela, prescritti dal 71% dei medici, con una media del 21% su quelli complessivi. La percentuale più alta appartiene agli esami strumentali: vi ricorre il 75,6 % dei medici.
MALASANITÀ - Un eccesso di sanità che deve far pensare, in tempi di spending review. Nella relazione, che copre quasi quattro anni di lavoro (da aprile 2009 a dicembre 2012), si parla anche di malasanità con 570 casi, tra errori del personale e disfunzioni. In 400 casi c'è stata la morte del paziente e il maggior numero di segnalazioni di presunti errori, ben 1 su 5, è relativo al parto. Sul totale, 261 decessi sono legati a presunti errori medici e 139 a inefficenze di vario tipo. Ma il dato che balza agli occhi è un altro: circa la metà dei decessi è concentrata in due sole regioni: Calabria (87) e Sicilia (84). Sul totale dei casi monitorati, 117 si sono verificati in Sicilia, 107 in Calabria, 63 nel Lazio, 37 in Campania, 36 in Emilia Romagna e Puglia, 34 in Toscana e Lombardia, 29 in Veneto, 24 in Piemonte, 22 in Liguria, 8 in Abruzzo, 7 in Umbria, 4 nelle Marche e Basilicata, 3 in Friuli, 2 in Molise e Sardegna, 1 in Trentino. Per i decessi, dopo il triste record di Calabria e Sicilia, ci sono il Lazio con 42 morti, Campania 30, Emilia Romagna 28, Puglia 25, Toscana 22, Piemonte 18, Veneto 16, Liguria 14, Lombardia 13, Abruzzo 8, Basilicata e Umbria 3, Sardegna e Friuli 2, Trentino, Marche e Molise 1. Su 104 episodi di malasanità al momento della nascita, la metà è concentrata tra Sicilia e Calabria, seguite da Campania e Puglia. Proprio nel Mezzogiorno si concentra un più alto numero di punti nascita di piccole dimensioni e con pochissimi parti e si concentrano le percentuali maggiori di tagli cesarei.
SABATO 3 GENNAIO 2015, PARLIAMO DI COME MANTENERE ATTIVA LA MEMORIA NELL'ANZIANO
I cambiamenti cognitivi
Il progredire dell'età comporta, necessariamente, l'impoverimento dal punto di vista intellettivo; non bisogna però pensare che questa sia una prerogativa degli anziani. Studi condotti sull'argomento hanno indicato che il cosiddetto "deterioramento" inizia a circa 30 anni e poi progredisce anche se, naturalmente, non sempre alla stessa velocità!
Ciò che è importante è la consapevolezza che questi cambiamenti sono perfettamente naturali e che le modifiche che le nostre capacità subiscono, non sono necessariamente sintomo di una malattia.
- La capacità di comporre un numero telefonico tenendolo a mente.
- Ricordare informazioni ascoltate alla radio.
Le considerazioni che abbiamo appena fatto portano, per contro, a dover delineare anche quegli aspetti che invece possono e devono destare preoccupazione. Oggi li vedremo solo marginalmente perché, essendo aspetti legati alla patologia, hanno bisogno di una trattazione più completa che comprenda anche l'esposizione dei sintomi e delle cause.
Per restringere il campo e per mantenere il collegamento con ciò di cui parleremo nei prossimi incontri, e cioè l'importanza della memoria, limitiamoci solamente a fornire una definizione di "demenza".
Secondo i manuali di diagnostica è possibile parlare di demenza quando ci si trova di fronte ad una tale compromissione delle funzioni, che non è più possibile far fronte alle richieste della vita di tutti i giorni, compiere ad esempio movimenti che avevamo imparato, avere un comportamento in società che sia adeguato alle circostanze.
Da questi elementi si rileva come l'aspetto forse più drammatico sia proprio quello legato all'inadeguatezza, e cioè ad un comportamento che non è quello adatto a quella situazione o, comunque, non è quello che ci si aspetta da noi.
La conoscenza di ciò che è l'invecchiamento normale e quello che è invece l'invecchiamento dovuto alla malattia, permette di distinguere tra due tipi di decadimento mentale:
- Decadimento mentale fisiologico, cioè legato all'età
- Decadimento mentale patologico, che interviene prima della vecchiaia oppure, pur intervenendo dopo, è troppo massiccio per essere legato solo all'età.
Modificazioni psicofisiologiche
Parliamo di modificazioni psicofisiologiche per riferirci ad attività che, col passare degli anni, vanno incontro a diminuzione sia pur con sensibili differenze tra una persona e l'altra. Anche queste, come la memoria, dipendono dal processo di invecchiamento.
Molto brevemente si può dire che questa diminuzione è da ricercare nei cambiamenti progressivi che si manifestano nei nostri organi periferici; tra le attività che cominciano a calare vi sono:
- La vista
- L'udito
- L'attività motoria - ci muoviamo più lentamente anche se i nostri gesti non perdono precisione
- Il tempo di reazione - quando siamo chiamati impieghiamo più tempo a reagire
Abbiamo dunque parlato delle modifiche nel nostro modo di imparare (i cambiamenti cognitivi di cui dicevamo prima) e delle modifiche nel nostro corpo: questa suddivisione che abbiamo fatto ci permette di affermare una cosa che ha conseguenze molto importanti.
Il decadimento della memoria può essere contrastato con un adeguato esercizio, mentre per le modifiche della vista e dell'udito l'esercizio ha una scarsa influenza.
Modificazioni affettive ed emozionali
Con l'invecchiamento il modo di esprimere gli affetti tende a modificarsi e si concentra molto su se stessi: ci si riferisce di più, infatti, alla propria condizione personale e si parla spesso, ad esempio, del proprio benessere fisico, della propria condizione economica e sociale.
Con l'avanzare dell'età, si è visto, che i propri pensieri e le proprie emozioni si concentrano soprattutto sui contenuti che riguardano il proprio presente ed il proprio passato. Un aspetto importante che bisogna considerare è quello relativo all'invecchiamento e alla motivazione, all'essere cioè stimolati a fare qualcosa.
Durante il periodo lavorativo in genere si pensa al successo, ad affermarsi, a realizzarsi: con l'avanzare dell'età questi elementi si modificano e divengono un tentativo per conservare la propria forza, il prestigio, il ruolo che si era in precedenza conquistato.
Spesso si accentuano alcune caratteristiche di personalità, nel senso che si può essere più rigidi ed introversi; è come se chi in gioventù aveva aspetti "da vecchio", diventasse ancora più vecchio.
A volte questi segni negativi che l'età porta con sé, si sommano a difetti che in precedenza c'erano già. A fronte di aspetti positivi che ci sono e che vedremo, è bene soffermarsi ancora su alcune caratteristiche forse meno piacevoli ma tuttavia presenti.
E' abbastanza frequente il fenomeno cosiddetto "dell'isolamento": una maggiore pigrizia porta a camminare di meno, problemi alla vista e all'udito possono limitare un po' negli scambi con gli altri. Tutto ciò contribuisce a far sì che la persona si ritiri e che sia restia a conoscere gente.
La differenza con i bambini si coglie bene in questa circostanza: mentre questi si accettano subito tra di loro, gli anziani sono portati a rifiutarsi, sia per disinteresse sia perché probabilmente si è radicata in loro anche una certa diffidenza.
Proprio a partire da questa considerazione occorre invece sottolineare che stare ai margini non contribuisce affatto ad affrontare bene la vecchiaia : oltre a ridurre i contatti e gli stimoli, infatti, non tenere in esercizio le nostre capacità di ottenere nuove conoscenze peggiora anche l'umore in quanto si diventa sempre più sospettosi.
E' fuori di dubbio che la persona anziana abbia una minore capacità di adattamento, ma è proprio per questo che bisogna prevedere qualcosa che lo compensi ed è ciò che le associazioni, i gruppi e - più in generale - le politiche sociali tendono a fare.
Nella vecchiaia, tuttavia, non ci sono solo aspetti come quelli di cui abbiamo parlato sinora: certi tratti dell'età giovanile infatti si conservano ma con caratteristiche di moderazione. Si è meno impulsivi verso gli altri e poi l'esperienza ed una certa abitudine alla disillusione contribuiscono ad un atteggiamento più paziente e un po' più tollerante.
Si tratta di un aspetto che, opportunamente coltivato, può offrire una certa sicurezza proprio perché permette di sostituire quelle che in passato potevano essere illusioni, con progetti più vicini alle attuali capacità.
Questo chiude un po' il cerchio da dove l'abbiamo iniziato: abbiamo conosciuto le modificazioni principali ma cominciamo a vedere anche quali sono le risorse che permettono di affrontare al meglio questo cammino.
RITARDARE LA VECCHIAIA
La longevità viene definita come "la sopravvivenza oltre l'età media probabile"; nonostante siamo stati invasi dai miti con il racconto di vite umane che hanno di gran lunga superato i secoli quali quella di Noè o Matusalemme, si può affermare che la durata massima non è cambiata e che il termine sta intorno ai 100/110 anni.
L'avvicinarsi della vecchiaia, il notare i primi sintomi alimenta ancora, tuttavia, il sogno dell'immortalità; l'essere umano cerca sempre infatti il modo di prolungare la propria vita.
Anche in questa circostanza, però, è il mito che ci viene in aiuto per ricordarci che l'elisir di lunga vita non serve a molto….Zeus aveva donato a Titone, personaggio mitologico, il dono dell'immortalità ma non quello dell'eterna giovinezza. Titone così continuava a vivere ed invecchiare, nella mente e nel corpo; la sua esistenza era diventata un'infinita vecchiaia al punto che egli stesso chiese a Zeus di dargli la morte.
Questo ci porta al centro della questione: non è da ricercare la lunga vita ma, semmai, la fontana dell'eterna giovinezza. Se esista, oppure no, non è facile affermarlo. Certo è che in ognuno di noi un'adeguata preparazione alla vecchiaia porta in sé la potenzialità per viverla al meglio.
La scienza ha costruito diverse teorie per spiegare l'invecchiamento, vediamone molto sinteticamente alcune.
- Teoria fondamentalista: è una teoria genetica secondo cui, nell'organismo, c'è qualcosa di programmato che regola la durata della vita e l'inizio della vecchiaia. Ci sono diverse ricerche a sostegno di questa teoria, si è visto ad esempio studiando i fratelli gemelli che il ciclo di vita è concordante. Oltre a ciò ci sono studi che depongono a favore della base genetica, come accade per la longevità femminile. Gli uomini vivono dai 4 ai 10 anni in meno rispetto alle donne e ciò si verifica anche in alcune specie animali
- Teoria immunitaria: sostiene che nell'invecchiamento le capacità di reazione agli agenti estranei si alterano e quindi c'è una minor difesa contro le aggressioni subite dal nostro organismo.
- Teoria della velocità del vivere: secondo tale teoria la durata della vita è in funzione della spesa di energia. Più veloce è il metabolismo energetico e più la vita è condensata. Dunque sarebbe la velocità della vita a condizionarne la durata.
Ciò che possiamo serenamente riconoscere, senza che nessuno possa sostenere il contrario, è che il traguardo dell'immortalità o dell'allungamento della vita ci è negato, benchè negli ultimi secoli la durata dell'età media si sia allungata.
A partire da ciò dunque vediamo di dedicare più spazio a tutto ciò che si può fare non tanto per allungare la vita, ma per ritardare la vecchiaia affrontando uno degli aspetti di maggiore interesse.
Conservare la memoria
Uno degli aspetti di maggior rilievo, nel corso dell'invecchiamento, è quello legato alla memoria e a quegli episodi in cui ci si rende conto che le capacità non sono più le stesse. La memoria è un elemento fondamentale per la nostra identità perché ci permette di collocare la nostra esistenza in un contesto, di dare a noi stessi un significato quando ci riconosciamo nelle nostre azioni, nelle nostre relazioni con gli altri, nei nostri ricordi.
La memoria è una funzione molto complessa, non consiste solo nella capacità di riprodurre nella nostra mente un'esperienza precedente ma nella capacità di generare nuove conoscenze. E' dunque un insieme di funzioni che consente di immagazzinare nuove informazioni grazie anche alla collaborazione degli organi di senso.
Il ricordo può essere relativo ad un'esperienza di molti anni prima o solo di pochi istanti, può aver coinvolto tutti gli organi di senso oppure solo uno.
Come possiamo facilmente immaginare ogni giorno il nostro cervello riceve una vastissima quantità di informazioni, attraverso segnali di vario genere. Non di tutti questi segnali siamo però consapevoli e molti di questi non lasciano traccia.
Tipi di memoria
Senza addentrarci in argomentazioni troppo tecniche vediamo brevemente quali sono i diversi tipi di memoria e le loro caratteristiche. Una distinzione classica è quella tra Memoria a breve termine (MBT) e Memoria a lungo termine (MLT).
- Memoria episodica: riguarda gli avvenimenti di cui abbiamo avuto esperienza
- Memoria semantica: riguarda la conoscenza delle cose del mondo, che abbiamo imparato nelle diverse situazioni (che il fuoco brucia, che l'acqua bagna)
- Memoria autobiografica: riguarda i dati personali della vita di una persona
- Memoria prospettica: riguarda ciò che ci proponiamo di fare
- Memoria procedurale: in essa sono custodite le informazioni su "come si fa a fare qualcosa" come ad esempio guidare l'auto, andare in bicicletta.
Abbiamo visto sommariamente che cos'è la memoria e come funziona, grazie soprattutto alla collaborativa presenza degli organi di senso che ci permettono di ricevere numerose informazioni. Vediamo ora quali sono i fattori che la influenzano rendendo difficile o meno l'acquisizione di nuove informazioni.
Se partiamo dal fatto che i sensi sono essenziali, va da sé che disturbi a tali organi possano far sì che il soggetto non riceva le informazioni corrette; chi ha disturbi alla vista o all'udito, per esempio, può sembrare smemorato in realtà ha un "minor numero di magazzini" in cui collocare i suoi ricordi.
Oltre all'integrità degli organi di senso, il buon funzionamento della memoria dipende anche dall'attenzione che il soggetto rivolge e dal tipo di affetto che la situazione evoca; è esperienza comune infatti ricordare meglio le cose piacevoli, piuttosto che quelle spiacevoli.
Un altro evento che influenza la memoria è la condizione psicofisica in cui il soggetto si trova; se una persona sta vivendo uno stato ansioso la memoria è negativamente influenzata. Anche la depressione rappresenta un elemento di disturbo: in tale circostanza infatti si nota una minore ricettività agli stimoli ed un livello di attenzione significativamente compromesso. La concentrazione della persona è infatti per lo più rivolta a se stessa, con sentimenti di incapacità, di incompetenza e sfiducia.
Nell'anziano, ma accade anche in altre fasi del ciclo di vita, è possibile anche l'instaurarsi di un circolo vizioso: la depressione e l'ansia possono scaturire da una riduzione dei rapporti sociali, dalla perdita di persone care o da condizioni di malattia che possono essere invalidanti.
Tali circostanze possono compromettere la memoria e favorire la condizione ansiosa innestando una reazione circolare di non facile soluzione.
A fronte di queste affermazioni è opportuno però ricordare che ad essere colpiti da disturbi della memoria patologici e progressivamente sempre più gravi al punto da perdere l'autonomia, è il 10/15% degli ultra 65enni. La percentuale maggiore degli anziani, infatti, non sviluppa una forma demenziale e conserva un "buon cervello" a patto che lo tenga sempre allenato.
Un buon esercizio è, infatti, fondamentale anche in considerazione del fatto che, a dispetto di ciò che si potrebbe pensare, nella persona anziana il nuovo apprendimento è facilitato in quanto si inserisce su di una rete di nozioni già organizzate. Del resto, come già abbiamo più volte sottolineato, la capacità di ricordare resta invariata, benchè possa richiedere più tempo.
Principi per migliorare la propria memoria
Spesso diciamo che abbiamo dimenticato qualcosa quando in realtà sarebbe più corretto dire che non l'abbiamo colta o, meglio, che non vi abbiamo prestato attenzione. Ciò che ci interessa richiama la nostra attenzione e si fissa nella nostra memoria perché, dentro di essa, esistono le strutture in cui collocarla. Possiamo pensare alla memoria come ad una grande biblioteca dove vi sono tanti scaffali pronti ad accogliere i nostri ricordi.
L'attenzione è un aspetto molto importante; non per nulla, come possiamo notare noi stessi, siamo interessati a ciò che ci è più familiare e più siamo esperti in qualcosa , più stiamo attenti.
Se una cosa non ci interessa, invece, facciamo molta più fatica a ricordare e spesso, come è stato dimostrato, la ripetizione meccanica è inutile. Come possiamo spiegare questo fatto?
Occorre tener presente che la ripetizione non ci assicura l'apprendimento, ma è determinante il modo in cui noi elaboriamo ciò che stiamo imparando. Se a ciò aggiungiamo quanto detto prima, e cioè che - ad esempio - abbiamo a che fare con un argomento che non ci interessa, vediamo che è difficile mantenere costante l'attenzione.
C'è un altro elemento che influisce sul ricordo ed è il significato di ciò che stiamo imparando. Ad esempio una serie di numeri costituisce uno dei materiali più difficili da ricordare perché hanno poco significato ed è facile confonderli.
Se una cosa è difficile da capire è anche difficile da ricordare, in quanto la comprensione e la memoria sono strettamente collegate. Quando parliamo di comprensione ci riferiamo alla capacità di unire nuove informazioni, a quelle che già possediamo e questa capacità risente anche di come noi analizziamo ciò che vogliamo imparare.
Superata la convinzione che basti ripetere meccanicamente, dopo questa premessa è agevole arrivare ad affermare che più profondamente elaboriamo ciò che dobbiamo imparare e migliore sarà il ricordo. Facciamo un esempio pratico: io ora potrei chiedere a tutti voi di impegnarvi in un compito. Il gruppo alla mia destra dovrà ricordarsi quante volte mi sono impaperata oggi, il gruppo alla mia sinistra dovrà contare quante volte ho detto la parola "memoria", il gruppo centrale dovrà ricordare il significato complessivo di quello che ho detto e cercare di dargli un titolo, ed il gruppo in fondo dovrà stare attento e notare se io faccio delle ripetizioni.
Questo esempio che può sembrare stupido ci indica che le operazioni da compiere per ricordarci qualcosa possono essere più o meno profonde e che il risultato migliore per avere un buon ricordo si ottiene con un'elaborazione più profonda che richiede un uso maggiore delle strutture della memoria.
Il gruppo centrale che deve prestare attenzione a quello che dico e dare un titolo a questa giornata, deve necessariamente impegnarsi di più e deve stare attento perché deve cogliere il senso di quello che dico, sintetizzarlo estraendo le informazioni più importanti, e dargli un titolo che - in poche parole - racchiuda tutto ciò che è stato esposto.
Gli altri gruppi a cui ho chiesto di fare qualcosa, invece, hanno un compito molto più superficiale e, se ci pensiamo bene, di semplice conteggio meccanico: devono infatti sapermi dire quante volte ho fatto o ho detto una determinata cosa. Di conseguenza il loro ricordo sarà ben diverso, rispetto a quello dell'altro gruppo.
Ricordare cose ed eventi
Per mantenere giovane la memoria e compensare alcune lacune esistono suggerimenti di una certa efficacia, già usati nell'antichità. Uno di questi è il metodo dei loci, dove i loci rappresentavano il luogo in cui veniva custodita idealmente l'informazione. Gli oratori per ricordare un discorso lo suddividevano mentalmente in frammenti e, immaginando ad esempio, la disposizione dei locali della propria abitazione, collocavano le varie parti del discorso nelle stanze e poi, a partire dall'ingresso, le rievocavano mentalmente e potevano così tenere il loro discorso senza dimenticare nulla.
Possiamo provare a memorizzare la lista della spesa, basandolo su un percorso che conosciamo, ad esempio la nostra casa. Immaginiamo di dover acquistare il pane e piazziamolo, idealmente, sulla soglia di casa poi entriamo in cucina e vediamo 5 o 6 uova spiaccicate sul tavolo, il lavello pieno di piatti ci ricorda che dobbiamo comprare il detersivo, dal frigorifero trabocca la lattuga e così via.
Quando dobbiamo ricordare queste cose basta pensare ai locali e ai mobili della nostra casa e ritrovare l'immagine di ciò che dobbiamo comprare.
Un esperimento di questo tipo è stato condotto da due studiosi americani che hanno inserito immagini su un percorso casa-lavoro inserendo gli elementi che bisognava ricordare. (vedi figura)
Un altro stratagemma piuttosto noto è quello delle parole chiave, grazie a cui ad un nome o un oggetto vengono collegati dei fatti; ad esempio se vorremo ricordare quando ci siamo incontrati per parlare di Memoria, potremo pensare ora di associare la lettera M di memoria alla mia iniziale del nome e quella del mese di Giugno alla iniziale del mio cognome, creando così un collegamento tra due eventi.
Naturalmente poi ognuno troverà un modo più personale di fare collegamenti, riferendosi alla sua personale esperienza.
Questo ci fa capire che se utilizziamo le nostre capacità per elaborare un qualsiasi contenuto, teniamo in esercizio le nostre facoltà e organizziamo le nostre conoscenze in modo tale da avere un rapido accesso ad esse, e di poterle rievocare con più velocità.
VIVERE LA VECCHIAIA
Se tutto va bene, la vecchiaia arriva e quindi occorre saperla vivere. Uno degli aspetti importanti di cui occorre parlare è questo: prima di fornire indicazioni sul come provare a viverla è bene vedere invece quali sono le strategie che, secondo la maggior parte degli studiosi, è bene evitare perché destinate al fallimento. Esistono infatti modi di impostare la vita, posti in essere in modo più o meno intenzionale, che tendono ad opporsi alla vecchiaia nel tentativo di risolverne i difetti ed i problemi. Vediamo alcune di queste strategie.
La medicalizzazione della vecchiaia
Tutto viene impostato sui problemi medici, per cui curarsi diventa uno scopo, quasi il maggior impegno della giornata. Conseguentemente la malattia diventa un incubo e la maggior parte dei rapporti tra le persone si impernia su quelle che sono le figure centrali nella salute e cioè il medico, il farmacista. La maggior parte degli spostamenti che una persona fa diventano quelli per andare a fare gli esami, per ritirare gli esiti, per prendere un appuntamento. Preciso subito che questo atteggiamento non è una prerogativa della persona anziana, perché vi sono ad esempio quadri di nevrosi in cui la malattia viene desiderata perché, in un certo senso, può essere usata come giustificazione ad esempio per gli insuccessi.
Tornando all'anziano, un aspetto che si osserva di frequente è l'uso della malattia, che diventa così qualcosa di cui parlare o da esibire quando non si possono mostrare successi diversi. Diventa così un primato, triste, ma sempre un primato.
Ecco perché il medico, in presenza di una situazione di questo tipo, dovrebbe scoraggiare tali strategie cercando di dare meno importanza alle regole e rinunciando, qualche volta, ad accertamenti non indispensabili che potrebbero accentuare questo tipo di atteggiamento nell'anziano.
Il giovanilismo
Il giovanilismo è l'esatto contrario di ciò di cui abbiamo parlato prima, e cioè rappresenta la negazione della vecchiaia nel senso che il comportamento viene impostato su standard di vita che sono più tipici di altre fasce di età.
Sono i comportamenti di chi, non accettando il passare degli anni, mantiene modalità esistenziali da giovanotto o da ragazzina: occorre dire che questo tipo di atteggiamento è spesso incoraggiato dalla società che per rivalutare l'anziano propone non un ruolo preciso ma, piuttosto, un falso prolungamento della gioventù che ha lo scopo di convincere che l'efficienza e la freschezza sono ancora presenti, che la vecchiaia è lontana e che, forse, non esiste neppure.
Ancora qualcosa si può dire a proposito delle varie iniziative che sorgono per accompagnare la vecchiaia: molto spesso si sente parlare di promozione di attività per gli anziani dove a tutti i costi si vuol insegnare qualcosa di nuovo, come a voler moltiplicare gli stimoli e ad incrementare le capacità che una persona può avere.
Pur con tutto il rispetto per questo tipo di iniziativa che comunque rappresenta un modo di prestare attenzione a questa fase del ciclo di vita, bisognerebbe considerare - anche alla luce di quanto abbiamo detto fin qui - che ciò su cui val più la pena di puntare è l'utilizzo delle conoscenze ottenute durante fasi sicuramente più produttive da un punto di vista intellettivo (infanzia, adolescenza, gioventù). Volersi misurare con cose nuove potrebbe infatti esporre a delusioni e potrebbe, in una certa misura, disperdere energie che potrebbero invece essere riutilizzate per far fruttare al meglio il patrimonio di cui già si dispone.
Il catastrofismo e l'atteggiamento polemico
Un'altra strategia comune è quella di assumere un atteggiamento pessimistico verso il mondo, le persone, i valori. La catastrofe mondiale attenua, così, la piccola catastrofe individuale dell'invecchiare. Ma questo non è un atteggiamento che paga perché, comunque, induce una serie di comportamenti che possiamo tranquillamente definire depressivi, in cui non c'è più posto per godere di ciò che ancora c'è. Spesso pessimismo e previsioni negative si accompagnano anche ad un atteggiamento polemico, poiché a tutti i livelli diventa importante individuare chi è il responsabile dei guai e quindi cercare di combatterlo.
Questo tratto della vecchiaia è così presente che diventa addirittura una caratteristica utilizzata anche in letteratura o nei film per definire la persona anziana: si va dal personaggio brontolone, al moralista e, per le donne, all'immagine della vecchia strega che vuole male a tutti!
Qualità e scelte utili
Come si definisce uno stile di vita positivo? Certamente non è facile una definizione che metta tutti d'accordo, tuttavia è bene soffermarci su quelle che si ritiene siano le modalità di vita utili che sono caratterizzate da determinate qualità.
Una di queste è l'adattabilità che, in vecchiaia, ha un particolare rilievo proprio perché viene intesa non nel senso di rassegnazione o sottomissione ma di riaggiustamento, di adeguamento a nuove situazioni. Adattarsi vuol dire, in sostanza, accettare che certi cambiamenti sono necessari e trovare ragioni nuove per cui il nuovo atteggiamento non è una rinuncia definitiva, ma qualcosa di provvisorio e reversibile. Un consiglio che si fornisce spesso, in casi in cui ci si trova di fronte a persone che hanno dovuto fare rinunce per loro importanti, è l'invito a vedere i cambiamenti obbligati, come una scelta.
Un esempio che si fa spesso è quello di sostituire a "Non posso più andare a caccia" la riflessione seguente" E' meglio che per qualche mese non vada più a caccia". Questa è una modalità che può sembrare una "presa in giro", ma se ci pensiamo bene è una strategia che utilizziamo già tutti i giorni per altre cose: è quello che ci aiuta a rendere più dolci situazioni che sarebbero invece più drastiche.
Un modo per favorirla può essere la sostituzione di ciò che si perde con qualcosa di nuovo: non vado più a caccia ma vado a visitare una città che non conosco. In fondo l'adattabilità è già in noi perché, oltre all'uso che abbiamo visto prima, la utilizziamo anche per superare momenti negativi per trovare valori positivi, anche in situazioni che per noi rappresentano un ripiego.
Un'altra qualità importante è la creatività che è stata definita come uno dei modi e dei mezzi essenziali che l'uomo utilizza allo scopo di portare in avanti le frontiere del possibile.
A rendere possibile la creatività concorrono alcuni aspetti, tra cui ad esempio l'immaginazione, la capacità di produrre tante idee, la flessibilità ovvero la capacità di cambiare schema.
La creatività è anche una delle tre doti ritenute essenziali per il progresso dell'umanità: le altre due sono la curiosità e l'umiltà. Vediamo come, nella vecchiaia, queste qualità si ritrovino in quanto la curiosità e la creatività possono persistere, nel senso che già sono aspetti che fanno parte anche della vita passata, e l'umiltà si accentua perché ci è già stata data la possibilità di sperimentare le nostre conoscenze ed i nostri limiti.
Ma come si sviluppa e si alimenta la creatività? Naturalmente è necessaria una preparazione ad essa, in quanto va stimolata sin dalla giovane età e poi elaborata, integrata, meglio definita.
La creatività, a differenza dell'apprendimento, di cui abbiamo già parlato, deve essere permanente ma non fornendo materiali nuovi da imparare, bensì ampliando e specializzando le qualità di ognuno.
Il celebre poeta Umberto Saba quando parla della vecchiaia, lo fa pensando non ad un'ora vuota, ma ad "un'ora grande" l'ora che accompagna un'età di vendemmia, di raccolto.
Connessa alla creatività è, abbiamo visto, la curiosità. Questo atteggiamento serve ad aprirsi al nuovo, rovesciando convinzioni e valutazioni.
Tra gli aspetti di cui maggiormente ci si lamenta, in vecchiaia, vi è la perdita di significato, legata ad esempio al non sentirsi utile, al non servire più a nulla.
La persona anziana si trova spesso in situazioni che agevolano questo modo di sentire: oltre all'assenza di un ruolo si percepisce, altresì, la percezione di creare problemi agli altri o di complicar loro la vita.
Questo insieme di sentimenti può creare uno stato emotivo in cui la persona oscilla tra la colpa e la sensazione di essere vittima degli altri, che lo trascurano senza motivo.
Nasce cosi' un bisogno, quello di essere utile agli altri, in un modo che abbia significato e che consenta di sfidare la quotidianità.
Ecco, questo è un desiderio che non ha bisogno di grandi realizzazioni ma che può essere soddisfatto anche su piccola scala con gesti piccoli e compatibili con la quotidianità del pensionato.
Strettamente legata a questo aspetto, è un'altra qualità importante per vivere bene:l'altruismo. E per questa attitudine, non possiamo dire che vi siano limitazioni: rendersi utili coltiva un po' l'impressione di essere necessari e dunque questa funzione diviene anche un valido meccanismo per difenderci dalla tendenza al vittimismo e alla compassione.
Molto spesso viene ricordata anche l'importanza dell'attività: dobbiamo ricordare una cosa importante che abbiamo detto all'inizio di questa esposizione e cioè che con la vecchiaia vi sono delle modificazioni nel nostro modo di apprendere e fare nuove conoscenze. L'attività dunque non diminuisce, semplicemente cambia.
Anche in questo caso è importante l'esatta valutazione dei problemi, cioè il distinguere tra quelli che possono essere risolti e quelli che non hanno soluzione. Per fare ciò sicuramente il confronto con gli altri è un'opportunità importante perché oltre a permettere di conoscere esperienze che possono rivelarsi utili, offre anche la possibilità di recuperare un po' il senso della misura e di essere maggiormente critici nei confronti di un evento, cercando di superare un coinvolgimento personale che ne disturba la valutazione.
In conclusione questa impostazione che abbiamo voluto dare nel trattare il tema della vecchiaia, ci porta a considerare la possibilità che abbiamo di prepararla al meglio, senza dimenticare che una buona strategia è quella di saper porre in essere una compensazione. Conosciamo ciò che potrà succedere e ci prepariamo ad accettarlo, sfruttando quello che ci resta senza farsi delle illusioni ma senza neppure perdere il senso della misura cercando di ricordare che il mantenersi giovani non necessariamente corrisponde alla perfetta forma fisica, ma a sane abitudini mentali.
La nostra cultura è ricca di esempi di questo tipo, recentemente il premio Nobel Rita Levi Montalcini che ha 93 anni, ha pubblicato un libro sulla vecchiaia in cui sfugge ai lamenti sulla condizione dell'anziano e mostra come ciò che si perde possa essere sostituito da qualcos'altro narrando la storia di personaggi molto attivi anche da vecchi, come Michelangelo, Galileo o Picasso.
Ed è proprio di Picasso il pensiero con cui chiudiamo questo incontro:"Tutto ciò che ho fatto è solo il primo passo di un lungo cammino.
ARTRITE-ARTROSI -ARTRITE REUMATOIDE 31 MAGGIO 2015
IntroduzioneArtrite è una parola generica che i medici usano per definire la situazione in cui le articolazioni sono doloranti e rigide, in realtà però esistono diversi tipi di artrite e ciascuno di essi ha diversi sintomi e terapie. Nella maggior parte dei casi l’artrite è cronica, cioè può durare anche per molto tempo.
L’artrite può colpire le articolazioni in quasi tutte le parti dell‘organismo: alcune forme di artrite causano cambiamenti che è possibile vedere ed avvertire, come ad esempio: gonfiore, calore e tumefazione nelle articolazioni. In alcuni pazienti il dolore ed il gonfiore durano solo per poco tempo, ma sono veramente gravi. Altre forme di artrite, invece, causano sintomi meno problematici, ma danneggiano comunque lentamente e costantemente le articolazioni.
L’artrite è una delle malattie più comuni del nostro paese. Milioni di adulti e metà della popolazione di età superiore ai 65 anni sono affetti da questa malattia; le persone anziane nella maggior parte dei casi sono affette da osteoartrosi, artrite reumatoide o gotta.
- L’osteoartrosi (artrosi) è la forma di artrite più comune tra gli anziani. L’artrosi si manifesta quando le cartilagini iniziano a lacerarsi e a distaccarsi. La cartilagine è il tessuto che, all’interno dell’articolazione, riveste l’osso. Nelle forme peggiori di artrosi tutta la cartilagine dell’articolazione si stacca e quindi le ossa iniziano a sfregare l’una contro l’altra. Le zone più colpite dall’artrosi sono le mani, il collo, la parte inferiore della schiena, e le articolazioni maggiori su cui si scarica il peso corporeo, come ad esempio le ginocchia e il femore.
- L’artrite reumatoide è una malattia autoimmune che spesso può colpire diverse articolazioni nello stesso momento, può succedere anche che non siate in grado di muovere l’articolazione. Spesso le persone affette da artrite reumatoide non si sentono bene: magari si sentono stanche, oppure hanno la febbre. In grado di colpire tutte le fasce d’età, anche risulta più frequente nelle donne, l’artrite reumatoide può colpire quasi tutte le articolazioni, comprese quelle delle dita, i polsi, le spalle, i gomiti, il femore, le ginocchia, le caviglie, i piedi e il collo. Se ad essere colpita è un’articolazione su un lato, anche l’articolazione simmetrica probabilmente sarà soggetta a questa malattia. Questa forma di artrite purtroppo non si limita a distruggere le articolazioni: può anche attaccare gli organi interni, come ad esempio il cuore, i muscoli, i vasi sanguigni, il sistema nervoso e gli occhi.
- La gotta è una delle forme di artrite più dolorose. La gotta molto spesso è un problema a carico dell’alluce, ma può colpire anche altre articolazioni come ad esempio: la caviglia, il gomito, il polso, la mano e le altre dita. Il gonfiore può far tirare la pelle intorno all’articolazione e far diventare tutta la zona tumefatta e molto fragile. Il medico può consigliarvi di effettuare le analisi del sangue e una radiografia, inoltre può prelevare un campione del fluido articolare durante l’attacco.
CauseQuali sono le cause dell’artrosi? L’invecchiamento è il maggior fattore di rischio per l’artrosi, anche se i ricercatori pensano che la causa cambi a seconda dalla parte del corpo che viene colpita: ad esempio l’artrosi delle mani o del femore può essere ereditaria, invece quella delle ginocchia può essere collegata al sovrappeso. Le ferite oppure l’uso eccessivo possono causare l’artrosi nelle articolazioni come quelle delle ginocchia, del femore o delle mani.
L’artrite reumatoide è invece una malattia autoimmune. Quando si è affetti da artrite reumatoide, l’organismo attacca i tessuti dell’articolazione proprio come se stesse tentando di proteggervi da una ferita o da una malattia: ad esempio, se una scheggia vi ha ferito un dito, si verifica un’infiammazione, cioè il dito diventa dolorante, arrossato e gonfio. L’artrite reumatoide provoca un’infiammazione delle articolazioni. Quest’infiammazione, a sua volta, causa dolore, gonfiore e rigidità che possono durare anche per ore.
Un attacco di gotta può iniziare quando si formano dei cristalli di acido urico nel tessuto connettivo e/o nelle articolazioni. Questi depositi causano gonfiore, tumefazione, calore, dolore e rigidità nell’articolazione. Gli attacchi di gotta spesso avvengono dopo aver mangiato alimenti come: pesce azzurro, fegato, legumi secchi, piselli, acciughe o ragù di carne. Anche l’abuso di alcool, il sovrappeso e alcuni farmaci possono far peggiorare la gotta. Negli anziani, alcuni farmaci per la pressione possono far aumentare la probabilità di un attacco di gotta.
Tra le altre forme di artrite troviamo: l’artrite psoriasica (che colpisce le persone affette dalla psoriasi, una malattia della pelle), la spondilite anchilosante (che colpisce soprattutto la spina dorsale), l’artrite reattiva (cioè l’artrite che si verifica come reazione ad un’altra malattia dell’organismo) e l’artrite temporomandibolare (a carico dell’articolazione che unisce la mandibola alle altre ossa del volto).
SintomiI campanelli d’allarme tipici delle forme di artrite sono:
- dolore continuo alle articolazioni,
- gonfiore alle articolazioni,
- rigidità articolare,
- dolore, lieve o intenso, quando toccate un’articolazione,
- problemi nell’uso o nel movimento normale di un’articolazione,
- calore e rossore in un’articolazione.
Cura e rimedi alternativi
Ciascun tipo di artrite richiede una terapia diversa, ma esistono alcune cure comuni a tutte le forme di questa malattia.
Le tecniche principali per convivere con un’artrite di qualunque forma sono:
- riposo,
- esercizio fisico,
- dieta sana e bilanciata
- modi per usare e proteggere le articolazioni.
Esistono farmaci appositi per il dolore e il gonfiore:
- il paracetamolo (Tachipirina, Efferalgan, Acetamol, …) può alleviare il dolore causato dall’artrite.
- Alcuni farmaci FANS (antiinfiammatori non steroidei), come ad esempio l’ibuprofene (Brufen, Nurofen, Algofen, …) e il naproxene (Momendol, Aleve, …) sono in vendita in farmacia senza obbligo di ricetta. Per altri farmaci FANS, invece, occorre la prescrizione medica. E’ comunque necessaria attenzione verso i possibili effetti collaterali di alcuni FANS, in vendita con o senza prescrizione medica. Vi consigliamo di leggere le indicazioni riportate sulla scatola o nel foglietto informativo allegato al prodotto e chiedere al medico od al farmacista se e come è opportuno usare il paracetamolo o i farmaci FANS per il dolore causato dall’artrite.
- Osteoartrosi. Esistono farmaci che possono aiutarvi a tenere sotto controllo il dolore provocato dall’artrosi. Se vi riposate e fate regolare attività fisica sarà più facile muovere le articolazioni. Anche non aumentare eccessivamente di peso è una buona idea. Se il dolore alle ginocchia causato dall’artrosi è molto intenso, il medico potrebbe farvi delle iniezioni nell’articolazione, così potrete muovere il ginocchio e camminare senza difficoltà. Alcune persone si sottopongono a interventi chirurgici per riparare o sostituire le articolazioni danneggiate.
- Artrite reumatoide. Dopo la cura il dolore e il gonfiore dovuti all’artrite reumatoide miglioreranno e il danno alle articolazioni potrebbe rallentare o fermarsi del tutto. Potrete muovervi con maggiore facilità e vi sentirete sicuramente meglio. Oltre agli antidolorifici e agli antiinfiammatori il vostro medico potrebbe consigliarvi farmaci antireumatici, ovvero farmaci specifici che modificano l’andamento della malattia. Questi farmaci possono rallentare la progressione dei danni provocati alle articolazioni. I farmaci come il prednisone, noti come cortisonici, possono diminuire rapidamente il gonfiore nell’attesa che il farmaco faccia effetto. I modificatori della risposta biologica, invece, bloccano i danni causati dal sistema immunitario. Spesso questi ultimi sono efficaci per le persone affette da artrite reumatoide di intensità da lieve a media, se altre terapie non hanno avuto effetto.
- Gotta. Se avete avuto un attacco di gotta parlatene con il vostro medico, per capire le ragioni e imparare a prevenire eventuali attacchi futuri. La terapia più frequente degli attacchi acuti di gotta usa i FANS o i cortisonici. Questi farmaci riducono il gonfiore, quindi potrete iniziare a sentirvi meglio entro poche ore dall’assunzione. L’attacco di solito sparisce completamente entro alcuni giorni. Se già avete avuto diversi attacchi, il medico può prescrivervi dei farmaci per prevenirne eventuali futuri.
- DOMENICA 3-APRILE 2016 ARTERIOPATIE PERIFERICHE ARTI INFERIORI E PREVENZIONE INFARTO CARDIACO. PRESSO IL CENTRO DI FLEBOLOGIA DELL'OSPEDALE SANT'ANTONIO DI PADOVA E' STATO INTRODOTTO UN TEST INNOVATIVO CHE CONSENTE DI STABILIRE PRECOCEMENTE SE UN SOGGETTO E' A RISCHIO INFARTO. LUNEDI 4 APRILE ALLE h 8.30 AVREMO COME OSPITE IL PROF GIAMPIERO AVRUSCIO DIRETTORE DEL CENTRO DI FLEBOLOGIA
- Arteriopatia periferica degli arti inferiori PADA rteriopatia periferica degli arti inferiori (PAD, detta anche Arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori) una malattia causata dalla ridotta circolazione del sangue nelle arterie che portano il sangue agli arti inferiori. Le arterie servono a portare il sangue dal cuore ai muscoli e agli organi del nostro corpo. A causa dell’arteriosclerosi alcune arterie si restringono progressivamente fino anche a occludersi del tutto e ciò riduce notevolmente la quantità di sangue che arriva dove ce ne sarebbe bisogno. L’arteriosclerosi è favorita da diverse situazioni che sono chiamate fattori di rischio. Tra questi ci sono purtroppo l’età avanzata e il sesso maschile, che ovviamente, non si possono cambiare. Gran parte dei fattori di rischio però sono legati alle abitudini di vita e possono quindi essere modificati. Quelli più importanti sono il fumo di sigaretta, l’aumento dei grassi nel sangue (in particolare il colesterolo), l’ipertensione arteriosa e il diabete.
Quali persone rischiano maggiormente di essere colpite dalla PAD?
La PAD è molto più frequente di quanto comunemente si creda. Oltre il 25% delle persone con più di 70 anni di età;, oppure con più di 50 anni ed uno dei fattori di rischio sopra elencati, possono avere problemi di arteriosclerosi alle arterie degli arti inferiori, anche se non hanno nessun disturbo (sono chiamati asintomatici o in Stadio I). E’ quindi importantissimo che queste persone si rivolgano al proprio medico per capire se è il caso di fare degli esami di approfondimento.
Che disturbi dà la PAD?
Quando l’arteriosclerosi provoca una riduzione del sangue che arriva agli arti inferiori, all’inizio i disturbi vengono solo quando ci si muove (durante una camminata, salendo le scale, ...), quando ciò servirebbe un notevole aumento di sangue per far lavorare bene i muscoli delle gambe. Infatti, se il flusso di sangue non è sufficiente, il muscolo non riesce a liberarsi delle sostanze di scarto prodotte durante il movimento e va incontro a un crampo doloroso che impedisce di continuare il cammino. Tale disturbo, che di solito colpisce il polpaccio e talora il piede oppure la coscia o il gluteo, è chiamato claudicatio intermittens (o in Stadio II), cioè zoppicare in modo temporaneo, intermittente, perché quando la persona si ferma il dolore scompare dopo poco tempo (di solito al massimo nel giro di 1-2 minuti. Se il blocco della circolazione diventa più grave, il sangue che arriva alle gambe può essere così poco da far comparire i dolori anche senza camminare (Stadio III), in particolare di notte quando si tengono gli arti sul letto, perché tale posizione riduce ancora di più il flusso di sangue nelle arterie degli arti inferiori. Questa condizione è molto pericolosa perché se il sangue è molto poco e arriva poco ossigeno ai tessuti, essi cominciano a soffrire e possono andare incontro a morte con la formazione di ulcere (Stadio IV), specialmente sui piedi, o addirittura di gangrena. In casi così gravi esiste un alto rischio di dover amputare una parte o addirittura tutto l’arto.
E‘ una malattia pericolosa?
La PAD può sembrare una malattia non particolarmente grave perché di solito il disturbo principale è solo quello della comparsa di dolore alle gambe durante il cammino ed il suo peggioramento è generalmente piuttosto lento. Infatti la complicanza più grave, cioè la comparsa di dolore anche da fermi e poi di ulcere ed eventuale gangrena, è abbastanza rara, colpendo meno del 5% delle persone con questa malattia. In tali casi, però diventa molto elevato il rischio di andare incontro ad una amputazione anche di tutto l’arto. La maggior pericolosità di questa malattia è tuttavia legata al fatto che si accompagna spesso a problemi di arteriosclerosi delle arterie che portano sangue al cervello (arterie cerebrali) e di quelle che portano sangue al cuore (coronarie). Pertanto il rischio maggiore per chi ha la PAD è quello di avere un infarto o un’ ictus cerebrale. Per tale motivo è estremamente importante diagnosticare precocemente e curare bene la PAD anche quando i disturbi sono modesti.
Come viene identificata?
Quando è presente il tipico disturbo della claudicatio intermittens, le caratteristiche del dolore (v. tabella), ben riferite al medico, assieme al risultato della visita (in cui viene anche controllata la presenza o meno delle normali pulsazioni sulle arterie a livello inguinale, dietro il ginocchio e alle caviglie), possono essere sufficienti per fare la diagnosi di arteriopatia degli arti inferiori. Per confermare la diagnosi si può eseguire anche un semplice esame che consiste nella misurazione della pressione arteriosa sistolica con due apparecchi doppler a livello delle caviglie e delle braccia, calcolandone il rapporto che normalmente dovrebbe essere superiore a 0,95. Questo esame è particolarmente utile nei casi in cui il soggetto non lamenta il caratteristico disturbo (asintomatici) ed è quindi opportuno che venga eseguito negli individui a rischio, ciò quelli che hanno piùdi 70 anni, oppure più di 50 anni e sono fumatori oppure diabetici. Se il medico lo ritiene opportuno vengono eseguiti anche altri esami che consentono di vedere con maggior precisione le lesioni provocate dall’arteriosclerosi come l’ecocolordoppler degli arti inferiori, ed, in pochi, selezionati casi (per indicazione terapeutica specifica) l’angiografia.
Si può prevenire?
La prevenzione della PAD andrebbe iniziata molto presto, praticamente fin da giovani perché è la stessa della prevenzione dell’arteriosclerosi e consiste soprattutto nell’eliminare i fattori di rischio cardiovascolari modificabili, legati allo stile di vita, quali il fumo di sigaretta, l’obesità la sedentarietà l’eccesso di grassi nel sangue (dislipidemie). E’ molto importante poi curare eventuali condizioni come l‘ipertensione e soprattutto il diabete che rappresentano anch’esse fattori di rischio cardiovascolari se non controllate efficacemente innanzitutto da una buona dieta e dal movimento ed eventualmente trattati Questi provvedimenti possono ridurre sia il rischio di comparsa di PADI, sia delle altre malattie legate all’arteriosclerosi, quali l’infarto e l’ ictus cerebrale.
Come si cura?
La prima cosa da fare è correggere gli eventuali fattori di rischio legati allo stile di vita, quindi smettere di fumare, mangiare in modo equilibrato riducendo l’assunzione di grassi e di colesterolo e di zuccheri e cercando di raggiungere un peso corporeo ragionevole. Qualora fossero presenti fattori di rischio quali diabete, ipertensione arteriosa e dislipidemia che non rispondano ad uno stile di vita corretto può essere indispensabile assumere dei farmaci perché è molto importante che i valori di glicemia, colesterolo, trigliceridi e di pressione arteriosa siano mantenuti il più possibile nella norma. Le medicine oggi a disposizione sono molto efficaci e se vengono prese con regolarità possono ridurre parecchio il rischio di peggioramento della malattia e la comparsa di complicanze. E’ inoltre fondamentale aumentare l’attività fisica, se possibile partecipando ad un programma riabilitativo controllato, dal momento che è stato ben documentato che l’esercizio fisico rappresenta una cura della PAD in grado di aumentare di molto le capacità di camminare nella maggior parte delle persone. A questi provvedimenti viene quasi sempre associata una medicina che serve a ridurre la formazioni di trombi all’interno delle arterie ammalate (chiamata antiaggregante piastrinico) per evitare il peggioramento della malattia e la comparsa di complicanze. Qualche volta vengono anche usati farmaci che migliorano la circolazione per cercare di aumentare la capacità di camminare. In casi che lo specialistica angiologo selezionerà si può cercare di rimuovere gli ostacoli alla circolazione nelle arterie con l’angioplastica. L’angioplastica è una procedura non chirurgica che consiste nel far arrivare una sonda con un palloncino all’interno dell’arteria occlusa e di provare a dilatarla gonfiando il palloncino, eventualmente mettendo una retina di metallo (chiamata stent) per mantenerla aperta. L’intervento chirurgico si rende necessario in una piccolissima percentuale dei casi, in genere quanto le altre vie terapeutiche non sono efficaci o per il salvataggio d’arto.
Che attenzioni deve avere il paziente con PAD ?
Da quanto detto sopra risulta evidente che una cosa molto importante che deve fare chi ha una PAD è quella di modificare un eventuale stile di vita a rischio, innanzitutto smettendo di fumare, poi adottando una alimentazione con pochi grassi e zuccheri, se è presente sovrappeso, anche ridotta come quantità di cibo. E’ inoltre fondamentale aumentare l’attività fisica cercando di camminare per mezz’ora o più almeno tre volte la settimana, possibilmente secondo un programma concordato e controllato presso un centro di Angiologia.
Anche l’assunzione delle medicine prescritte dallo specialista Angiologo va eseguita con scrupolo, senza effettuare modifiche che non siano state discusse con il medico curante.
A chi rivolgersi?
Nel caso abbiate disturbi che suggeriscano la presenza di una PAD o se appartenete a una delle categorie a rischio sopra indicate la prima cosa da fare è quella di consultare il vostro medico di fiducia-E’ poi opportuno effettuare una visita specialistica presso un centro Angiologia/Medicina Vascolarei ove sarete visitati da un angiologo o da un chirurgo vascolare per valutare la necessita di eventuali esami di approfondimento e scegliere il trattamento più adatto.
Caratteristiche del dolore alle gambe dovuto ad arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori (PAD), detto claudicatio intermittens
E’ simile ad un crampo che compare dopo un tratto di cammino (in piano o in salita o sulle scale) ai muscoli del polpaccio, della coscia o del gluteo (più raramente anche del piede. Non è localizzato alle articolazioni (ginocchio, anca, ...) Non è presente quando si è fermi, sia che si sia seduti, o anche in piedi. Scompare rapidamente dopo che ci si è fermati, di solito in 1 o 2 minuti. Si presenta in maniera abbastanza regolare, dopo aver percorso, più o meno, sempre lo stesso tratto di strada. Arteriopatia periferica degli arti inferiori PADArteriopatia periferica degli arti inferiori (PAD, detta anche Arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori) una malattia causata dalla ridotta circolazione del sangue nelle arterie che portano il sangue agli arti inferiori. Le arterie servono a portare il sangue dal cuore ai muscoli e agli organi del nostro corpo. A causa dell’arteriosclerosi alcune arterie si restringono progressivamente fino anche a occludersi del tutto e ciò riduce notevolmente la quantità di sangue che arriva dove ce ne sarebbe bisogno. L’arteriosclerosi è favorita da diverse situazioni che sono chiamate fattori di rischio. Tra questi ci sono purtroppo l’età avanzata e il sesso maschile, che ovviamente, non si possono cambiare. Gran parte dei fattori di rischio però sono legati alle abitudini di vita e possono quindi essere modificati. Quelli più importanti sono il fumo di sigaretta, l’aumento dei grassi nel sangue (in particolare il colesterolo), l’ipertensione arteriosa e il diabete.
Quali persone rischiano maggiormente di essere colpite dalla PAD?
La PAD è molto più frequente di quanto comunemente si creda. Oltre il 25% delle persone con più di 70 anni di età;, oppure con più di 50 anni ed uno dei fattori di rischio sopra elencati, possono avere problemi di arteriosclerosi alle arterie degli arti inferiori, anche se non hanno nessun disturbo (sono chiamati asintomatici o in Stadio I). E’ quindi importantissimo che queste persone si rivolgano al proprio medico per capire se è il caso di fare degli esami di approfondimento.
Che disturbi dà la PAD?
Quando l’arteriosclerosi provoca una riduzione del sangue che arriva agli arti inferiori, all’inizio i disturbi vengono solo quando ci si muove (durante una camminata, salendo le scale, ...), quando ciò servirebbe un notevole aumento di sangue per far lavorare bene i muscoli delle gambe. Infatti, se il flusso di sangue non è sufficiente, il muscolo non riesce a liberarsi delle sostanze di scarto prodotte durante il movimento e va incontro a un crampo doloroso che impedisce di continuare il cammino. Tale disturbo, che di solito colpisce il polpaccio e talora il piede oppure la coscia o il gluteo, è chiamato claudicatio intermittens (o in Stadio II), cioè zoppicare in modo temporaneo, intermittente, perché quando la persona si ferma il dolore scompare dopo poco tempo (di solito al massimo nel giro di 1-2 minuti. Se il blocco della circolazione diventa più grave, il sangue che arriva alle gambe può essere così poco da far comparire i dolori anche senza camminare (Stadio III), in particolare di notte quando si tengono gli arti sul letto, perché tale posizione riduce ancora di più il flusso di sangue nelle arterie degli arti inferiori. Questa condizione è molto pericolosa perché se il sangue è molto poco e arriva poco ossigeno ai tessuti, essi cominciano a soffrire e possono andare incontro a morte con la formazione di ulcere (Stadio IV), specialmente sui piedi, o addirittura di gangrena. In casi così gravi esiste un alto rischio di dover amputare una parte o addirittura tutto l’arto.
E‘ una malattia pericolosa?
La PAD può sembrare una malattia non particolarmente grave perché di solito il disturbo principale è solo quello della comparsa di dolore alle gambe durante il cammino ed il suo peggioramento è generalmente piuttosto lento. Infatti la complicanza più grave, cioè la comparsa di dolore anche da fermi e poi di ulcere ed eventuale gangrena, è abbastanza rara, colpendo meno del 5% delle persone con questa malattia. In tali casi, però diventa molto elevato il rischio di andare incontro ad una amputazione anche di tutto l’arto. La maggior pericolosità di questa malattia è tuttavia legata al fatto che si accompagna spesso a problemi di arteriosclerosi delle arterie che portano sangue al cervello (arterie cerebrali) e di quelle che portano sangue al cuore (coronarie). Pertanto il rischio maggiore per chi ha la PAD è quello di avere un infarto o un’ ictus cerebrale. Per tale motivo è estremamente importante diagnosticare precocemente e curare bene la PAD anche quando i disturbi sono modesti.
Come viene identificata?
Quando è presente il tipico disturbo della claudicatio intermittens, le caratteristiche del dolore (v. tabella), ben riferite al medico, assieme al risultato della visita (in cui viene anche controllata la presenza o meno delle normali pulsazioni sulle arterie a livello inguinale, dietro il ginocchio e alle caviglie), possono essere sufficienti per fare la diagnosi di arteriopatia degli arti inferiori. Per confermare la diagnosi si può eseguire anche un semplice esame che consiste nella misurazione della pressione arteriosa sistolica con due apparecchi doppler a livello delle caviglie e delle braccia, calcolandone il rapporto che normalmente dovrebbe essere superiore a 0,95. Questo esame è particolarmente utile nei casi in cui il soggetto non lamenta il caratteristico disturbo (asintomatici) ed è quindi opportuno che venga eseguito negli individui a rischio, ciò quelli che hanno piùdi 70 anni, oppure più di 50 anni e sono fumatori oppure diabetici. Se il medico lo ritiene opportuno vengono eseguiti anche altri esami che consentono di vedere con maggior precisione le lesioni provocate dall’arteriosclerosi come l’ecocolordoppler degli arti inferiori, ed, in pochi, selezionati casi (per indicazione terapeutica specifica) l’angiografia.
Si può prevenire?
La prevenzione della PAD andrebbe iniziata molto presto, praticamente fin da giovani perché è la stessa della prevenzione dell’arteriosclerosi e consiste soprattutto nell’eliminare i fattori di rischio cardiovascolari modificabili, legati allo stile di vita, quali il fumo di sigaretta, l’obesità la sedentarietà l’eccesso di grassi nel sangue (dislipidemie). E’ molto importante poi curare eventuali condizioni come l‘ipertensione e soprattutto il diabete che rappresentano anch’esse fattori di rischio cardiovascolari se non controllate efficacemente innanzitutto da una buona dieta e dal movimento ed eventualmente trattati Questi provvedimenti possono ridurre sia il rischio di comparsa di PADI, sia delle altre malattie legate all’arteriosclerosi, quali l’infarto e l’ ictus cerebrale.
Come si cura?
La prima cosa da fare è correggere gli eventuali fattori di rischio legati allo stile di vita, quindi smettere di fumare, mangiare in modo equilibrato riducendo l’assunzione di grassi e di colesterolo e di zuccheri e cercando di raggiungere un peso corporeo ragionevole. Qualora fossero presenti fattori di rischio quali diabete, ipertensione arteriosa e dislipidemia che non rispondano ad uno stile di vita corretto può essere indispensabile assumere dei farmaci perché è molto importante che i valori di glicemia, colesterolo, trigliceridi e di pressione arteriosa siano mantenuti il più possibile nella norma. Le medicine oggi a disposizione sono molto efficaci e se vengono prese con regolarità possono ridurre parecchio il rischio di peggioramento della malattia e la comparsa di complicanze. E’ inoltre fondamentale aumentare l’attività fisica, se possibile partecipando ad un programma riabilitativo controllato, dal momento che è stato ben documentato che l’esercizio fisico rappresenta una cura della PAD in grado di aumentare di molto le capacità di camminare nella maggior parte delle persone. A questi provvedimenti viene quasi sempre associata una medicina che serve a ridurre la formazioni di trombi all’interno delle arterie ammalate (chiamata antiaggregante piastrinico) per evitare il peggioramento della malattia e la comparsa di complicanze. Qualche volta vengono anche usati farmaci che migliorano la circolazione per cercare di aumentare la capacità di camminare. In casi che lo specialistica angiologo selezionerà si può cercare di rimuovere gli ostacoli alla circolazione nelle arterie con l’angioplastica. L’angioplastica è una procedura non chirurgica che consiste nel far arrivare una sonda con un palloncino all’interno dell’arteria occlusa e di provare a dilatarla gonfiando il palloncino, eventualmente mettendo una retina di metallo (chiamata stent) per mantenerla aperta. L’intervento chirurgico si rende necessario in una piccolissima percentuale dei casi, in genere quanto le altre vie terapeutiche non sono efficaci o per il salvataggio d’arto.
Che attenzioni deve avere il paziente con PAD ?
Da quanto detto sopra risulta evidente che una cosa molto importante che deve fare chi ha una PAD è quella di modificare un eventuale stile di vita a rischio, innanzitutto smettendo di fumare, poi adottando una alimentazione con pochi grassi e zuccheri, se è presente sovrappeso, anche ridotta come quantità di cibo. E’ inoltre fondamentale aumentare l’attività fisica cercando di camminare per mezz’ora o più almeno tre volte la settimana, possibilmente secondo un programma concordato e controllato presso un centro di Angiologia.
Anche l’assunzione delle medicine prescritte dallo specialista Angiologo va eseguita con scrupolo, senza effettuare modifiche che non siano state discusse con il medico curante.
A chi rivolgersi?
Nel caso abbiate disturbi che suggeriscano la presenza di una PAD o se appartenete a una delle categorie a rischio sopra indicate la prima cosa da fare è quella di consultare il vostro medico di fiducia-E’ poi opportuno effettuare una visita specialistica presso un centro Angiologia/Medicina Vascolarei ove sarete visitati da un angiologo o da un chirurgo vascolare per valutare la necessita di eventuali esami di approfondimento e scegliere il trattamento più adatto.
Caratteristiche del dolore alle gambe dovuto ad arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori (PAD), detto claudicatio intermittens
E’ simile ad un crampo che compare dopo un tratto di cammino (in piano o in salita o sulle scale) ai muscoli del polpaccio, della coscia o del gluteo (più raramente anche del piede. Non è localizzato alle articolazioni (ginocchio, anca, ...) Non è presente quando si è fermi, sia che si sia seduti, o anche in piedi. Scompare rapidamente dopo che ci si è fermati, di solito in 1 o 2 minuti. Si presenta in maniera abbastanza regolare, dopo aver percorso, più o meno, sempre lo stesso tratto di strada.
Arteriopatia periferica degli arti inferiori PADArteriopatia periferica degli arti inferiori (PAD, detta anche Arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori) una malattia causata dalla ridotta circolazione del sangue nelle arterie che portano il sangue agli arti inferiori. Le arterie servono a portare il sangue dal cuore ai muscoli e agli organi del nostro corpo. A causa dell’arteriosclerosi alcune arterie si restringono progressivamente fino anche a occludersi del tutto e ciò riduce notevolmente la quantità di sangue che arriva dove ce ne sarebbe bisogno. L’arteriosclerosi è favorita da diverse situazioni che sono chiamate fattori di rischio. Tra questi ci sono purtroppo l’età avanzata e il sesso maschile, che ovviamente, non si possono cambiare. Gran parte dei fattori di rischio però sono legati alle abitudini di vita e possono quindi essere modificati. Quelli più importanti sono il fumo di sigaretta, l’aumento dei grassi nel sangue (in particolare il colesterolo), l’ipertensione arteriosa e il diabete.
Quali persone rischiano maggiormente di essere colpite dalla PAD?
La PAD è molto più frequente di quanto comunemente si creda. Oltre il 25% delle persone con più di 70 anni di età;, oppure con più di 50 anni ed uno dei fattori di rischio sopra elencati, possono avere problemi di arteriosclerosi alle arterie degli arti inferiori, anche se non hanno nessun disturbo (sono chiamati asintomatici o in Stadio I). E’ quindi importantissimo che queste persone si rivolgano al proprio medico per capire se è il caso di fare degli esami di approfondimento.
Che disturbi dà la PAD?
Quando l’arteriosclerosi provoca una riduzione del sangue che arriva agli arti inferiori, all’inizio i disturbi vengono solo quando ci si muove (durante una camminata, salendo le scale, ...), quando ciò servirebbe un notevole aumento di sangue per far lavorare bene i muscoli delle gambe. Infatti, se il flusso di sangue non è sufficiente, il muscolo non riesce a liberarsi delle sostanze di scarto prodotte durante il movimento e va incontro a un crampo doloroso che impedisce di continuare il cammino. Tale disturbo, che di solito colpisce il polpaccio e talora il piede oppure la coscia o il gluteo, è chiamato claudicatio intermittens (o in Stadio II), cioè zoppicare in modo temporaneo, intermittente, perché quando la persona si ferma il dolore scompare dopo poco tempo (di solito al massimo nel giro di 1-2 minuti. Se il blocco della circolazione diventa più grave, il sangue che arriva alle gambe può essere così poco da far comparire i dolori anche senza camminare (Stadio III), in particolare di notte quando si tengono gli arti sul letto, perché tale posizione riduce ancora di più il flusso di sangue nelle arterie degli arti inferiori. Questa condizione è molto pericolosa perché se il sangue è molto poco e arriva poco ossigeno ai tessuti, essi cominciano a soffrire e possono andare incontro a morte con la formazione di ulcere (Stadio IV), specialmente sui piedi, o addirittura di gangrena. In casi così gravi esiste un alto rischio di dover amputare una parte o addirittura tutto l’arto.
E‘ una malattia pericolosa?
La PAD può sembrare una malattia non particolarmente grave perché di solito il disturbo principale è solo quello della comparsa di dolore alle gambe durante il cammino ed il suo peggioramento è generalmente piuttosto lento. Infatti la complicanza più grave, cioè la comparsa di dolore anche da fermi e poi di ulcere ed eventuale gangrena, è abbastanza rara, colpendo meno del 5% delle persone con questa malattia. In tali casi, però diventa molto elevato il rischio di andare incontro ad una amputazione anche di tutto l’arto. La maggior pericolosità di questa malattia è tuttavia legata al fatto che si accompagna spesso a problemi di arteriosclerosi delle arterie che portano sangue al cervello (arterie cerebrali) e di quelle che portano sangue al cuore (coronarie). Pertanto il rischio maggiore per chi ha la PAD è quello di avere un infarto o un’ ictus cerebrale. Per tale motivo è estremamente importante diagnosticare precocemente e curare bene la PAD anche quando i disturbi sono modesti.
Come viene identificata?
Quando è presente il tipico disturbo della claudicatio intermittens, le caratteristiche del dolore (v. tabella), ben riferite al medico, assieme al risultato della visita (in cui viene anche controllata la presenza o meno delle normali pulsazioni sulle arterie a livello inguinale, dietro il ginocchio e alle caviglie), possono essere sufficienti per fare la diagnosi di arteriopatia degli arti inferiori. Per confermare la diagnosi si può eseguire anche un semplice esame che consiste nella misurazione della pressione arteriosa sistolica con due apparecchi doppler a livello delle caviglie e delle braccia, calcolandone il rapporto che normalmente dovrebbe essere superiore a 0,95. Questo esame è particolarmente utile nei casi in cui il soggetto non lamenta il caratteristico disturbo (asintomatici) ed è quindi opportuno che venga eseguito negli individui a rischio, ciò quelli che hanno piùdi 70 anni, oppure più di 50 anni e sono fumatori oppure diabetici. Se il medico lo ritiene opportuno vengono eseguiti anche altri esami che consentono di vedere con maggior precisione le lesioni provocate dall’arteriosclerosi come l’ecocolordoppler degli arti inferiori, ed, in pochi, selezionati casi (per indicazione terapeutica specifica) l’angiografia.
Si può prevenire?
La prevenzione della PAD andrebbe iniziata molto presto, praticamente fin da giovani perché è la stessa della prevenzione dell’arteriosclerosi e consiste soprattutto nell’eliminare i fattori di rischio cardiovascolari modificabili, legati allo stile di vita, quali il fumo di sigaretta, l’obesità la sedentarietà l’eccesso di grassi nel sangue (dislipidemie). E’ molto importante poi curare eventuali condizioni come l‘ipertensione e soprattutto il diabete che rappresentano anch’esse fattori di rischio cardiovascolari se non controllate efficacemente innanzitutto da una buona dieta e dal movimento ed eventualmente trattati Questi provvedimenti possono ridurre sia il rischio di comparsa di PADI, sia delle altre malattie legate all’arteriosclerosi, quali l’infarto e l’ ictus cerebrale.
Come si cura?
La prima cosa da fare è correggere gli eventuali fattori di rischio legati allo stile di vita, quindi smettere di fumare, mangiare in modo equilibrato riducendo l’assunzione di grassi e di colesterolo e di zuccheri e cercando di raggiungere un peso corporeo ragionevole. Qualora fossero presenti fattori di rischio quali diabete, ipertensione arteriosa e dislipidemia che non rispondano ad uno stile di vita corretto può essere indispensabile assumere dei farmaci perché è molto importante che i valori di glicemia, colesterolo, trigliceridi e di pressione arteriosa siano mantenuti il più possibile nella norma. Le medicine oggi a disposizione sono molto efficaci e se vengono prese con regolarità possono ridurre parecchio il rischio di peggioramento della malattia e la comparsa di complicanze. E’ inoltre fondamentale aumentare l’attività fisica, se possibile partecipando ad un programma riabilitativo controllato, dal momento che è stato ben documentato che l’esercizio fisico rappresenta una cura della PAD in grado di aumentare di molto le capacità di camminare nella maggior parte delle persone. A questi provvedimenti viene quasi sempre associata una medicina che serve a ridurre la formazioni di trombi all’interno delle arterie ammalate (chiamata antiaggregante piastrinico) per evitare il peggioramento della malattia e la comparsa di complicanze. Qualche volta vengono anche usati farmaci che migliorano la circolazione per cercare di aumentare la capacità di camminare. In casi che lo specialistica angiologo selezionerà si può cercare di rimuovere gli ostacoli alla circolazione nelle arterie con l’angioplastica. L’angioplastica è una procedura non chirurgica che consiste nel far arrivare una sonda con un palloncino all’interno dell’arteria occlusa e di provare a dilatarla gonfiando il palloncino, eventualmente mettendo una retina di metallo (chiamata stent) per mantenerla aperta. L’intervento chirurgico si rende necessario in una piccolissima percentuale dei casi, in genere quanto le altre vie terapeutiche non sono efficaci o per il salvataggio d’arto.
Che attenzioni deve avere il paziente con PAD ?
Da quanto detto sopra risulta evidente che una cosa molto importante che deve fare chi ha una PAD è quella di modificare un eventuale stile di vita a rischio, innanzitutto smettendo di fumare, poi adottando una alimentazione con pochi grassi e zuccheri, se è presente sovrappeso, anche ridotta come quantità di cibo. E’ inoltre fondamentale aumentare l’attività fisica cercando di camminare per mezz’ora o più almeno tre volte la settimana, possibilmente secondo un programma concordato e controllato presso un centro di Angiologia.
Anche l’assunzione delle medicine prescritte dallo specialista Angiologo va eseguita con scrupolo, senza effettuare modifiche che non siano state discusse con il medico curante.
A chi rivolgersi?
Nel caso abbiate disturbi che suggeriscano la presenza di una PAD o se appartenete a una delle categorie a rischio sopra indicate la prima cosa da fare è quella di consultare il vostro medico di fiducia-E’ poi opportuno effettuare una visita specialistica presso un centro Angiologia/Medicina Vascolarei ove sarete visitati da un angiologo o da un chirurgo vascolare per valutare la necessita di eventuali esami di approfondimento e scegliere il trattamento più adatto.
Caratteristiche del dolore alle gambe dovuto ad arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori (PAD), detto claudicatio intermittens
E’ simile ad un crampo che compare dopo un tratto di cammino (in piano o in salita o sulle scale) ai muscoli del polpaccio, della coscia o del gluteo (più raramente anche del piede. Non è localizzato alle articolazioni (ginocchio, anca, ...) Non è presente quando si è fermi, sia che si sia seduti, o anche in piedi. Scompare rapidamente dopo che ci si è fermati, di solito in 1 o 2 minuti. Si presenta in maniera abbastanza regolare, dopo aver percorso, più o meno, sempre lo stesso tratto di strada.